La mazza e la carota

La nuova guerra del clima di Michael Mann, edizioni Ambiente, è in libreria, recensisco. Se l’editore non mi ha mandato un pdf punitivo, in 194 pagine ci sono un grafico, neppure la celebre spaghettata a colori

e tre vignette in tutto.

Detto questo, anche nel ripasso delle guerre precedenti (capitoli 1, 2 e 3) credo che chi ha letto Mercanti di dubbio (stesso editore), La Terra brucia (stesso autore), Climalteranti e perfino l’oca s. troverà parecchie sorprese.

Per dirne una mia, credevo che il prototipo delle campagne di BigOil & Coal per discreditare gli scienziati e negare la realtà fosse tuttora quella organizzata nel 1961 contro Rachel Carson. The times they are a’changing, cara la mia oca, adesso è L’indiano che piange, uno spot degli anni Settanta (capitolo 3), la madre di tutte le “campagne di distrazioni di massa”.

Oggi che Big Oil & Coal promettono di andare “Beyond Petrol” e di produrre “Clean Coal” fanno piangere noi: è tutta colpa nostra. Per espiarla mentre continuano a spremere sabbie bituminose, distruggere il delta del Niger e ricevere trilioni/anno in sussidi ed esternalità pagate dai contribuenti, dobbiamo diventare tutti ciclisti vegani e verdi come loro.

Dovevamo pensarci prima, invece di andare in Ferrari e di lamentarci mentre una decina di multinazionali usavano i propri profitti per estrarre altro carbonio, petrolio, gas e i più poveri dei paesi poveri dalla miseria.

Ken Saro-Wiva chi?

La strategia – smontata dal nostro Mike e ben riassunta all’epoca da Fay Dunaway, l’avreste detto? – consiste anche nell’accusare di ipocrisia la vegetariana se mangia un gelato invece di una granita, il movimento Fridays for future se dopo la manifestazione qualche pattumiera trabocca, la ragazzina che accetta un passaggio per New York in barca a vela se lo skipper torna a casa in aereo.

Hockey stick graph - Wikipedia
Meglio questa? Klaus Bittermann, CC

Ora che i disastri aumentano pure nei paesi ricchi dove le assicurazioni rifiutano di far finta di niente, non resta che rimandare gli interventi strutturali alle calende greche e negare che la crisi climatica sia una “crisi sistemica”. Cioè un accaparramento insostenibile delle risorse a beneficio di una minoranza, un’ingiustizia sociale, economica, ambientale e sanitaria – covid docet – crescente.

Big Oil & Coal e servi prezzolati vogliono disperare le masse, mica spingerle a occupare Wall Street, piazza Tahrir o Gezi Park.

Il contesto politico è molto anglosassone – USA, Gran Bretagna, Australia, Canada – in particolare nel caso degli ambientalisti pentiti, di quelli intransigenti o dei disperati del “catastrofismo dolce”. A conti fatti, sono altrettanto “inattivisti” delle destre anti-scienza.

Però la disinformazione bigoilista viene subito copiata in Italia, come si vede nel capitolo 7 “La soluzione-non soluzione”.

In precedenza, Michael Mann aveva già scartato “il controllo della popolazione”, crudele, razzista e inefficace: quelli che fanno più figli son quelli che emettono meno gas serra dai tempi della prima macchina a vapore.

Per primo, smonta il “ponte” del gas naturale verso le rinnovabili. Come se fosse sensato elettrificare ogni attività con metano e idrogeno entro i dieci-vent’anni rimasti per la transizione, scaduti i quali si elettrifica con rinnovabili che nel frattempo si son moltiplicate a gratis come conigli.

Per secondo, se la prende con il Carbon Capture & Storage e qui lo trovo un po’ ingiusto (anche Stefano Caserini nella prefazione, ma per motivi diversi, credo). E’ vero che costa due occhi della testa, deve ancora fare i conti con la dura lex sed lex della termodinamica, dipende da come tira l’aria secca o umida, immobilizza capitali che si potrebbero investire nelle batterie d’accumulo ecc.

Ma finora la sua “learning curve” è stata più veloce di quella dei pannelli solari e di questo passo ne avremo bisogno su ogni centrale, cementificio, acciaieria, portacontainer (omissis), negli aeroporti e lungo le strade.

(Domanda per Steph: la prossima volta che viene dalle tue parti, lo porti tu a vedere il Capricorn della ClimeWorks?)

Sono d’accordo sui rischi della geoingegneria e che gli aspiranti geoingegneri devono studiare ancora parecchio prima di mettere le mani sul clima globale.

Quanto al “basta piantare alberi”:

Nell’insieme si arriverebbe a 22 miliardi di tonnellate all’anno di anidride
carbonica. Sembra una quantità non indifferente, ma al momento… stiamo generando l’equivalente di circa 55 miliardi di tonnellate l’anno. Ciò significa che, anche se accettassimo la stima più alta di un intervallo di valori molto incerto
[e fingessimo che il land-grabbing non esiste, ndr] l’effetto combinato di riforestazione, pratiche agricole e cambiamenti nell’uso dei suoli rallenterebbe l’accumularsi di anidride carbonica nell’atmosfera per un fattore del 44%. In altre parole, i livelli atmosferici di anidride carbonica continuerebbero ad alzarsi, con una velocità solamente dimezzata.

Ha ragione anche sui costi di bioenergia, syngas da Cattura e Riuso del carbonio, “opzione nucleare” e “adattamento e resilienza”. Roba da paesi ricchi o dispotici, tipo Cina. Per ora.

Capitolo 8. Mette in guardia dal fuoco amico dei profeti di sventura, dai catastrofisti veri o finti, dolci o aggressivi. Data la sua visibilità, prende un sacco di pesci in faccia, il libro è anche autobiografico. Lo accusano di tradimento o gli attribuiscono la propria disperazione.

Non siamo di fronte a uno scenario di collasso sociale o di estinzione dell’umanità nel breve termine. Questi scenari potrebbero realizzarsi solo se rinunciassimo completamente ad agire. Se non ci fosse ancora una possibilità di vincere nella battaglia sul clima, non starei dedicando la mia vita a comunicare all’opinione pubblica e ai politici i fatti scientifici e le loro conseguenze.

Cribbio, lo scrive a pag. 248.

Fin qui ha proposto il dispiegamento accelerato delle tecnologie che già esistono, bibliografia scientifica nelle note a piè di pagina, un “build back better” à la Biden però mondiale, e

  • un prezzo del carbonio che scoraggi la domanda di combustibili fossili – senza un accordo internazionale, ma con Opec+1, Brasile, Messico, Nigeria et al., la vedo dura;
  • l’abolizione dei sussidi ai loro produttori perché paghino loro il ripulisti e non facciano una concorrenza sleale alle rinnovabili – la vedo dura bis.

Il Capitolo 9 ha un titolo promettente: “Affrontare la sfida”. E invece di spiegare come prendere il toro per le corna, descrive la situazione attuale, il negazionismo moribondo, l’opinione pubblica favorevole a interventi decisi adesso che ha imparato le lezioni tragiche della pandemia. Ormai siamo sull’orlo di una svolta, di un “tipping point” di quelli buoni, come per i matrimoni omosessuali.

Sono a p. 282, comincio a innervosirmi.

Come spingiamo gli inattivisti e i procrastinisti giù dal punto di svolta? (Buono, sotto c’è un materasso che neanche la Principessa sul pisello.)

  1. “Ignorare i pessimisti”, ok s’era capito;
  2. “Un bambino ci guiderà” e solo i corrotti e i cinici continueranno a negare che il re è nudo – fa più effetto sulle donne, mi sa;
  3. Educare, educare, educare;
  4. Ricordare che la crisi è sistemica e che

il cambiamento climatico è solo una parte di quel problema multidimensionale che è la sostenibilità ambientale e sociale. Non ho la pretesa di proporre, in questo libro, la soluzione a tutto ciò che affligge la nostra civiltà.

In questo libro? Se avessi un caminetto, ci butterei dentro il pdf…

Tuttavia, posso offrire quello che ritengo essere un percorso utile a risolvere nei prossimi anni la crisi climatica.

Sentiamo:

Sono tutte le cose di cui abbiamo parlato, i cambiamenti nei comportamenti, incentivati da un’appropriata politica di governo [per non farla troppo lunga, ho saltato il mazzo di carote], gli accordi intergovernativi e l’innovazione tecnologica, che ci faranno progredire sul clima. Non sarà una sola di queste cose, ma tutte insieme, in questo momento unico nella storia, a fornire una vera ragione per la speranza. Per ripetere una delle frasi con cui ho iniziato questo capitolo

Spoiler alert!

4 pensieri riguardo “La mazza e la carota

    1. Nei paesi con centinaia di milioni di abitanti e industrie energivore, sarei anch’io per centrali di nuova generazione – soprattutto se riciclano il plutonio delle armi e costano meno di $500 milioni.
      Hansen mi sembra un po’ ottimista. Dei 27 paesi che hanno accordi con la Russia, solo Bangladesh e Turchia hanno una centrale in costruzione – da 25 miliardi cad., prestati dalla Russia.

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