Con gli incendi ricorrenti, la domanda “Piantare alberi può salvare il clima?” – suscitata da un paper follemente ottimista tre anni fa – andrebbe trasformata in “Gli alberi si salveranno dal clima?”

Nature ha anticipato on-line tre ricerche provano a rispondere nel caso delle foreste amazzoniche e boreali. Alcuni modelli indicavano che se
- le risposte [positive] a un aumento della CO2 erano limitate dalla disponibilità di fosforo, in Amazzonia le foreste che crescono su suoli poco fertili potrebbero essere più vulnerabili di quanto si pensava finora.
E circa il 60% dei suoli sono poveri di fosforo. Ma in alcune zone e per alcune miscele di specie, i risultati degli esperimenti contraddicevano le proiezioni dei modelli. Erano contestate da prima perché nelle foreste tropicali del sud-est asiatico era già risultato che l’azoto era “il fattore limitante della produzione primaria netta” (NPP).
Per vederci chiaro, Hellen Fernanda Viana Cunha e altri ricercatori brasiliani e inglesi di AFEX hanno rimisurato i tassi di fosforo incerti e nel 2017 hanno
- allestito un esperimento fattoriale completo su larga scala di aggiunta di azoto, fosforo e cationi basici nella foresta pluviale tropicale vicino a Manaus, in Brasile (l’esperimento AFEX), manipolando 8 ettari di foresta…
Per cinque anni, ogni tre mesi in 160 località diverse, hanno misurato la crescita delle radicelle e dei tronchi, l’altezza di 4.849 alberi e la quantità di fogliame caduto. C’erano variazioni statistiche tra un appezzamento e l’altro, ma la disponibilità di fosforo era determinante dappertutto, e non quella di azoto.
- Questa nuova comprensione del ruolo dei nutrienti limitanti nelle foreste amazzoniche hanno implicazioni cruciali per gli interventi di mitigazioni attuali e futuri per evitare le conseguenze più pericolose del cambiamento climatico.
Vorrebbero esperimenti analoghi in cui viene aumentata anche la concentrazione di CO2 nell’aria, solo che costano parecchio di più.
Peter Reich et al. hanno fatto un esperimento diverso nella foresta boreale statunitense. Nel 2012 e nel 2013 hanno piantato 4.600 alberelli delle nove specie più diffuse a quella latitudine – conifere, querce, aceri ecc. – nello stesso ecosistema di graminacee, arbusti e felci. Per cinque anni li hanno “manipolati”
- a temperature diverse durante la stagione di crescita (temperatura ambiente, +1,6 °C e +3,1 °C) e livelli di precipitazioni (ambienti e ridotti) in due siti nel Minnesota nord-orientale negli Stati Uniti.
Poi hanno osservato gli effetti. In generale, c’era una maggior mortalità giovanile con il caldo e le minor precipitazioni soprattutto estive. Le querce e gli aceri, più rari e “competitivi” in quanto specie delle zone temperate, se la cavavano bene, ma non le altre specie, molto più abbondanti.
- I nostri risultati mostrano problemi per la salute e la diversità delle future foreste regionali: la rigenerazione delle attuali specie boreali non sarà resistente o resiliente ai cambiamenti climatici previsti a breve termine e la loro sostituzione con specie temperate sarà lenta [ci mettono parecchi decenni a diventare adulte e riprodursi]. Questo desta una notevole preoccupazione per l’ecosistema e i servizi economici che fornisce.
Com. stampa dell’università del Michigan.
Intanto le specie boreali che soffrono il caldo stanno già traslocando.

Roman Dial et al. hanno visto emigrare a nord – con i propri occhi sul campo e in immagini satellitarie – una conifera boreale: la Picea glauca o abete bianco o del Canada.
Cito solo dalle “Conclusioni” o non la finisco più
- La proliferazione dell’abete bianco nel ventesimo e nel ventunesimo secolo che descriviamo rappresenta un’invasione guidata dal clima della tundra artica, che si verifica a> 4 km per decennio pari al suo tasso di migrazione dai rifugi glaciali dopo l’ultimo massimo glaciale. (link aggiunto)
Un’invasione dovuta al riscaldamento, ai venti prevalenti, alle nevicate più abbondanti, scrivono, e simile all’avanzata verso il mare Artico delle betulle pelose (B. pubescens) nel nord-Europa e in Siberia dal 1985 in poi.
- La crescente copertura arborea dell’Artico sta accelerando come conseguenza e retroazione dei cambiamenti climatici che sposteranno le risorse di sussistenza delle popolazioni, ridurrà l’habitat delle specie migratorie e l’albedo della superficie terrestre, e ridistribuirà gli stock di carbonio, il tutto con implicazioni globali.
Com. stampa dell’università dell’Alaska. Grazie all’articolo del Guardian per i link ai due paper non in open access.
Uhm…bisognerebbe avvertire subito il Gentil Dr. Mariutti. L’ultima volta che avevo conversato con Lui, era e perso nella taiga di Lampedusa 😉
A proposito di esperimenti sul campo: conosci quelli del gruppo di Christian Körner et al, dagli anni 90? https://duw.unibas.ch/en/koerner/
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Conoscere no, ma qualcosa ho letto. Non sapevo che insegnasse ancora. Quando seguivo i primi esperimenti FACE 25 anni fa, a Cornell mi avevano dato delle fotocopie, ne parlavano un po’ di un “grande vecchio”
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