Su Bruno Latour

Radiopop mi chiede 1′ 30” per il giornale delle 19.30, ma un intellettuale così non ci sta. Filosofo all’origine, a 25 anni era diventato famoso e controverso con Vita di Laboratorio uscito in inglese nel 1979, un libro scritto con Steve Woolgar in uno stile un po’ prétentieux, secondo me.

Da antropologi o etnologi, dal 1976 avevano osservato una strana etnia: i ricercatori nel laboratorio di neuroendocrinologia diretto da Roger Guillemin all’istituto Salk in California.

Per farla molto breve, da studi simili sul campo o storici (come quello su Pasteur) Latour deduceva che gli oggetti della ricerca non esistono di per sé ma sono creati a partire da relazioni, usanze e strumenti, e che le teorie scientifiche e i fatti che ne derivano – i risultati – sono “costrutti sociali”, intrisi di valori e di (pre)giudizi.

Comunque le ghiandole endocrine esistono, gli ormoni che producono pure e nel 1977 Guillemin aveva ricevuto un quarto del premio Nobel.

Vigne nella Côte de Beaune, foto: Bourgogne Tourisme

(Quasi vent’anni dopo, mentre era a Milano per una delle conferenze “Dieci Nobel per il futuro”, diceva che la presenza dei due “ragazzi” era stato un esperimento divertente e proficuo per lui e i suoi collaboratori. Quanto proficuo, non ho capito. Come Latour, era borgognone, cresciuto in una famiglia esperta di vini e pensava che “al massimo” quelli californiani avrebbero un giorno fatto concorrenza ai bordeaux.)

Contestato soprattutto per il linguaggio, mutuato dai filosofi francesi tipo Derrida che andava di moda in alcune università francesi e americane ed era deriso in altre, Vita da laboratorio è diventato un best-seller. Così ha aiutato giovani socio-etno-antropologi a liberarsi da una forma di timore o timidezza: gli scienziati formano gruppi sociali distinti e influenti, quindi è normale andare sul campo per studiarne credenze, rituali e comportamenti.

Come altri gruppi sociali, non amano essere descritti da estranei in modi non sempre lusinghieri.

Sempre un po’ dispettoso e fuori dal mainstream, ma con una carriera accademica molto tradizionale, Latour ha cercato di fondare teoricamente un’ecosofia, una filosofia politica dell’ambientalismo. Non ne so quasi nulla, agg. 10/10 al contrario di Tim Howles.

Dopo uno studio etnografico del Consiglio di Stato francese e della sua produzione giurisprudenziale, ha anche tentato di fondare un movimento politico per includere il “non umano” nella Costituzione. Prevedeva pure un Parlamento in cui il non umano – che chiamava “le cose” – sarebbe rappresentato da scienziati ed esperti di singole “cose”.

Gli è andato un po’ meglio con l’introduzione alla Scuola superiore di Scienze politiche del master in belle arti e scienze politiche. E soprattutto del “doppio diploma” in scienze sociali e scienze tout court che mi sembra avere molte applicazioni. Serve a capire meglio, per esempio, come risolvere la crisi climatica e ambientale senza aumentare l’ingiustizia e le disuguaglianze nelle popolazioni che ne sono le principali vittime.

In radio ci sarebbero voluti almeno cinque minuti.

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