Un ottetto a Flushing Meadows

Sull’ultimo numero di American Scientist il chimico Roald Hoffmann, forse perché felicemente vaccinato, torna a raccontare una storia dimenticata e un po’ buffa, tra scienza, arte e cultura popolare, insieme a Dasari Prasad, un suo ex dottorando indiano se non ricordo male. Premessa

  • La chimica ha un modo meraviglioso di adattare concetti chimici produttivi a una comprensione alternativa della realtà sottostante

Sottinteso: i fisici non si montino la testa…

Nel 1939 finiva la Grande Depressione e spiravano venti di guerra, ma a Flushing Meadows, nel Queens – un quartiere di New York – l’Expo mondiale annunciava un futuro radioso.

All’entrata i visitatori trovavano a destra la Galleria della moda, a sinistra la Città di domani, in mezzo il Padiglione dell’arredamento e davanti una grande Fontana dell’atomo fatta a terrazze “come

  • una torta nuziale. Sopra, quattro figure alludevano agli elementi classici: terra, aria, acqua e fuoco. Sotto, otto sculture di ceramica, ognuna delle quali rappresentava un elettrone. Otto non è soltanto un numero fortunato o quello delle pratiche giuste nell’Ottuplice via del buddismo, è anche il numero di elettroni associati a un atomo stabile.

L’artista Waylande Gregory conosceva sicuramente l’ottetto di Gilbert Lewis, ma non ne aveva adottato l’atomo cubico. Aveva preferito il modello di Niels Bohr e disposto gli elettroni simmetricamente su un singolo orbitale.

Segue una panoramica della rappresentazione dell’atomo, da quella di John Dalton in poi, e delle idee che suscitava; degli orbitali nella meccanica quantistica; chimici dimenticati dalla scrivente; star intramontabili della fisica come Planck, Einstein e Heisenberg. Tutto serioso, sennonché il testo è inquadrato dalle foto degli elettroni di Gregory. Erano quattro maschi e quattro femmine

  • Un elettrone femmina è circondato da bolle, mentre uno maschile ha le pinne.

Tutti sembrano

  • deliziati dalla propria nudità e come se fossero capaci di sfidare la gravità. Sono proprio divertenti. Non c’è segno che rubino o condividano un altro elettrone, ma i vincoli architettonici della fontana non consentono loro di interagire.

Che peccato! A un giornale, Gregory aveva spiegato di voler mostrare

  • la loro danza energetica attorno al nucleo. Li ritraggo come piccoli selvaggi dall’energia elettrica senza limiti, che ballano al ritmo dei fulmini come lampi in smalti dai colori brillanti…

Oggi non si usa più un termine colonialista come “selvaggi” nota Roald en passant – e quelle nudità blu, gialle, rosa e verdi scatenerebbero una culture war… – prima di citare Einstein venuti a vederli il 30 aprile. Con giornalisti al seguito che ne raccoglievano ogni parola, immagino. L’opera gli era piaciuta. “Giovanotto,” disse a Gregory, “volevo incontrare l’artista che ha reso onore all’atomo”.

(Insieme a Leo Szilard, quattro mesi dopo mandava a Roosevelt la lettera che delineava Progetto Manhattan e la fisica avrebbe “conosciuto il peccato”.)

Finita l’Expo, la Fontana dell’atomo fu smantellata e i personaggi di terracotta disseminati nei musei, tra cui uno di Syracuse a pochi chilometri di Ithaca e dell’università Cornell dove Roald insegnava. “Una metafora di per sé,” scrive, “elettroni scolpiti in giro per il mondo, a formare nuove connessioni, legarsi a nuovi visitatori.”

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Dasari Prasad sta nel Karnataka (auguri, giovanotto) dove un anno fa – nonostante l’ostilità del partito Bharatiya Janata che l’avrebbe presto estromessa – la ministra della sanità aveva applicato con successo la “strategia zero covid”. La spiega Antonio Scalari su Valigia blu.

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