Colazione con due amici editori al Bar Bianco, nei giardini di Porta Venezia. Sotto gli alberi la “cupola di calore” è tollerabile. Parliamo – tra molto altro – della crisi climatica, così evidente nella frequenza e intensità degli eventi meteo estremi, l’anno scorso nell’emisfero sud e quest’anno nell’emisfero nord.
“Saranno le onde planetarie risonanti di Michael Mann,” dice D.T., facendomi venir in mente un’immagine satellitaria

Era una ricerca sulle inondazioni del 2014 nei Balcani, del gruppo di Stefan Rahmstorf al Pik. Non ricordavo né gli autori né il titolo del paper, solo un’immagine.
Secondo me (!) le onde planetarie – o atmosferiche di Rossby come si diceva “ai miei tempi” – dovevano essere così:

In realtà, ricordavamo male in due. L’idea di onde a smerlo persistenti e amplificate quando entrano in quasi-risonanza (quasi-resonant amplification, QRA) non è di Michael Mann. L’avevano suggerita Vladimir Petoukhov, Stefan Rahmstorf, Stefan Petri e Hans Joachim Schellnhuber del Pik.
Nel 2013, troppo tardi per essere valutata nel quinto rapporto Ipcc.
Si basava su quattro eventi in tutto: l’ondata di calore in Europa occidentale nel 2003, in Russia nel 2010, in USA nel 2011, e le alluvioni in Pakistan nel 2010. Mi sembravano pochini per ipotizzare un cambiamento improvviso e mai visto prima della circolazione atmosferica su mezzo pianeta.
Poi si sono fatti esperimenti/simulazioni di fisica e dinamica con e senza le nostre emissioni di gas serra, e altre onde amplificate sono state osservate mentre sotto i disastri meteo duravano più a lungo che nel secolo scorso.
Dopo il paper del 2017 con Michael Mann, l’ipotesi della QRA mi sembra diventata una quasi-teoria. A fine agosto, dovrebbe uscire la sintesi del prossimo rapporto Ipcc, vediamo cosa ne dice.

Nel 2013, i modelli avevano anche un problema con le nuvole: sommandone gli effetti, raffreddano o scaldano l’aria quaggiù? Oggi il consenso è che direttamente rinfrescano, ma tenendo conto delle loro retroazioni con il resto dell’atmosfera là dove stanno, scaldano. Di quanto? L’altro ieri Paolo C. segnalava
Observational evidence that cloud feedback amplifies global warming
di Paulo Ceppi e Peer Nowack sui PNAS. Gli pareva importante, tant’è che ieri mi diceva che ne parlava Carbon Brief.
Il titolo, come quello del comunicato stampa, è un po’ fuorviante. Le conferme sono sempre utili. Le nubi aggiungono
0,43 ± 0,35 W⋅m−2⋅K−1 (90% confidence)
La confidenza è alta, ma l’incertezza ancora di più: c’è una bella differenza tra un contributo di 0,08 e di 0,78 watt al metro q. per ogni grado Kelvin o Celsius, fa lo stesso, di riscaldamento globale.
La novità è il tipo di algoritmo (machine statistical learning) usato dagli autori per cumulare le retroazioni di ogni tipo di nuvola, e per derivarne una stima della sensibilità del clima all’equilibrio (Ecs) quando la concentrazione atmosferica di CO2 sarà due volte quella del primo Ottocento.
La prima puntata è uscita a fine Ottocento quando Svante Arrhenius l’ha calcolata su scala globale con carta e penna: gli è uscito +5-6 °C, l’Ecs per la Svezia. (Embè? Risente dell’amplificazione polare artica già adesso che siamo a 416,62 ppm, figurarsi a 540.)
La seconda è un tentativo fatto da Guy Stewart Callendar negli anni Trenta, ma per il raddoppio della CO2 usava 400 ppm, l’Esc gli veniva +1,6-2 °C.
Da quando esistono i computer la stima oscilla tra 3 e 4 °C, “best guess” di Gavin Schmidt: 3,5.
Una decina di anni fa scienziati tiepidisti avevano trovato un’Esc di +1,5 °C in tempo per essere inclusi nel V rapporto Ipcc del 2013. I negaioli hanno esultato, sennonché stando all’evidenza osservata siamo già a +1,3 °C rispetto al primo Ottocento.
Il best guess di Paulo Ceppi e Peer Nowack è +3,2 °C, comunque è molto improbabile che sia inferiore a 2 °C.
Raccomando anch’io l’articolo di Carbon Brief, corretto già dal titolo:
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Gratis su Nature di oggi, oltre al necrologio di Richard Lewontin, c’è la presentazione senza link di un paper – gratis – di Nature Climate Change sull’estensione della banchisa artica nel 2040 in funzione delle nostre emissioni di gas serra.
Sull’Economist di domani, il primo editoriale è intitolato “A 3°C world has no safe place“
Nuvole: niente di veramente nuovo sotto il sole.
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