“Corridoi umanitari”, “visti per chi ha collaborato con noi”, “per le Ong nazionali e internazionali”. I boat people ci hanno insegnato che sono menzogne, due governi italiani me lo hanno ricordato nel novembre 2011.
Cristina Guarinelli, la direttrice, aveva deciso che D-La Repubblica sarebbe stato media partner di Action Aid per la campagna “Stop alla violenza contro le donne in Afghanistan“.
Così avevo scritto di Selay Ghaffar. L’avrebbe presentata a Roma, insieme a una senatrice e due deputate, se uno o l’altro dei Ministeri degli interni le avesse “concesso” un visto. Anche solo per 24 ore.
Forse conoscete già il volto e il nome di Selay Ghaffar perché dirige Humanitarian Assistance for Women and Children in Afghanistan (HAWCA). L’Ong è stata fondata dalle ex-ragazzine del 1992, quelle che a sette otto anni aiutavano già le donne scappate con i figli a sopravvivere in campi allestiti aldilà della frontiera, nel Pakistan non proprio accogliente. Selay era tra le fondatrici… Ai vertici di New York, di Ginevra presta il volto e la voce alle altre Selay.
E’? Era la più grande delle Ong femminili, ma sotto i talebani ne erano nate molte altre, formali e informali. E in tutto il paese migliaia di donne che sotto i sovietici erano andate a scuola, insegnavano a bambine e adulte un sapere vietato. Non in scuole, ma in case senza uomini.
Erano loro il bersaglio scelto con cinismo da Dick Cheney per il lancio mediatico di Enduring Freedom:
Al governo americano servivano pretesti e la propaganda bellica ne sfoderò uno nuovo. Bombardieri e carri armati avrebbero tolto il burqa alle donne incapaci di sfilarselo da sole e instaurato la libertà femminile. Nel dicembre 2001, il presidente Bush dichiarava la missione compiuta (un’abitudine): “Grazie alle nostre recenti avanzate militari in Afghanistan, le donne non sono più imprigionate nelle proprie case. Possono ascoltare musica e insegnare alle figlie senza temere di essere punite…” Il presidente mentiva e con lui troppi mezzi di comunicazione.
Selay avrebbe detto che fuori da poche enclave urbane, sotto Hamid Karzai la violenza contro le donne e le bambine era peggiorata. Che dopo l’espulsione di Malalai Joya, nel parlamento di Kabul restavano solo donne reclutate dal partito jihadista. Che Karzai e il rivale Abdullah Abdullah avevano comprato i voti delle elezioni di quel novembre.
Avrebbe detto quello che succedeva davvero nelle province occupate. Ma come l’86% delle donne che avevano risposto al sondaggio commissionato da ActionAid, temeva di più i talebani.
Quel sondaggio – l’unico del suo genere, dopo le ricercatrici afgane avrebbero rischiato troppo – cercava risposte ai dubbi nostri e di donatori: i progetti, i desideri delle Selay non saranno quelli di un’élite occidentalizzata? Appoggiarli non sarà neo-colonialismo?
Dignità e diritti si fanno insieme in casa, come l’Asabia el Aroos, noi possiamo solo fornire qualche ingrediente che manca, se ci viene chiesto. Ma la libertà di fare politica non cresce altrove.
Due anni dopo il mancato appuntamento a Roma, Selay contribuiva a fondare e diventava portavoce di Solidarietà, un piccolo partito social-democratico diremmo noi, ritenuto di estrema sinistra e rivoluzionario dal governo e dagli occupanti. Boicottava le elezioni, denunciava i crimini e la corruzione dei candidati e degli eletti, degli occupanti e dei killer che noleggiavano da aziende private.
Non ho notizie né di lei né delle altre di Hawca e di ActionAid–Afghanistan.
Agg. 17/08: ora ne ho da ActionAid-Afghanistan.