Il potere agli scienziati?

Un giorno smetterò di dire bene di Philip Ball, oggi no. Con “Should scientists run the country?” inaugura la rubrica “Big Ideas” del supplemento culturale del Guardian e se i prossimi saggi sono come questo, ritocco l’abbonamento.

File:New Atlantis 1659 title page.gif - Wikimedia Commons

Risponde alla domanda del titolo (niente spoiler) prima da storico della scienza, poi da scienziato e sempre da comune cittadino. Senza l’arroganza o le certezze di alcuni intellettuali che si ritengono gli unici detentori della necessaria razionalità e pertanto della “narrazione” corretta.

(Salvifica se fosse adottata dai governanti, ça va sans dire?)

Philip parte dalla gestione della pandemia in Gran Bretagna con la domanda che ci facciamo un po’ tutti, in altri paesi:

  • Quante vite sarebbero state salvate durante la pandemia se il governo britannico avesse davvero seguito la scienza”?

per parlare del ruolo che i politici assegnano agli esperti – e vice versa – in una democrazia e in particolare durante una crisi.

Lo fa mescolando esempi storici a quelli tratti dalla cronaca recente e alle opinioni dei protagonisti. Da Bacone nella Nuova Atlantide, secondo il quale gli scienziati dovevano governare, al consenso attuale:

  • gli scienziati consigliano e i ministri decidono. […] Ma l’equazione non è mai stata così semplice [un leitmotiv]. Tanto per dirne una, in democrazia la gente ha diritto di sapere su quale base le decisioni vengono prese. Il consiglio scientifico non può essere dato a porte chiuse.

Anche perché non esiste un consiglio privo di giudizi di valore, da esplicitare anch’essi. Inoltre,

  • obbligata com’è ad abbracciare fallibilità e incertezza, la scienza è antitetica alla modalità attuale della politica, in cui ammettere un dubbio o un errore è considerato una debolezza. Eppure proprio per questi suoi attributi, la scienza rischia di essere sfruttata a fini politici.
Ma “quale scienza?”

Esperti in discipline diverse possono avere prospettive contradditorie anche quando sono in buona fede. In mancanza vera o presunta di consenso, si trovano sempre “esperti con qualifiche superficialmente plausibili” per giustificare qualunque intervento. D’altronde

  • giustamente eleggiamo politici perché prendano decisioni ed esprimano giudizi, non solo per applicare ciò che gli scienziati o i dati sembrano dettare. Per dirla con i sociologi Harry Collins e Robert Evans: “Democracy cannot dominate every domain – that would destroy expertise – and expertise cannot dominate every domain – that would destroy democracy.” 

Dovremmo eleggere “leader maturi” che scelgono bene i propri consulenti e rispettano la scienza senza mitizzarla né strumentalizzarla, suggerisce Philip.

Però cita anche Solly Zuckerman, il primo consulente scientifico “ufficiale” di un governo britannico:

  • Nel nostro sistema di governo il potere di decidere spetta al ministro interessato o al governo nel suo insieme. Se gli scienziati vogliono qualcosa di più, è meglio che diventino politici.

Su scienza e democrazia nel contesto più “caotico” degli Stati Uniti, rif. l’epidemiologo Jay Varma, consulente per la sanità del sindaco di New York, “Not Every Question Has a Scientific Answer. The toughest COVID-19 policy questions are matters for politicians—not health experts—to decide,” The Atlantic, 21 settembre.

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Il pane e le rose, no?

Potremmo eleggere scienziati che restano tali, senza aspettare che un presidente della Repubblica li nomini senatori a vita. Da deputata, Ilaria Capua ha continuato a far ricerca sui virus dell’influenza avaria finché non è stata accusata di delitti inventati d’insana pianta.

Sabato scorso, Federica S. che cura l’uff. stampa di Trieste Next, mi ha mandato un sunto dell’intervento di Elena Cattaneo:

  • “Con la pandemia abbiamo visto che cosa può essere un mondo senza scienza: la gente chiusa nelle case. Ora la scienza però ci ha dato i vaccini. Tuttavia la scienza non dev’essere un bottone da schiacciare quando serve, per poi magari staccare la spina per la ricerca sugli Ogm e al contempo dare credibilità a qualcosa come la cosiddetta agricoltura biodinamica. […] Dobbiamo alzarci in piedi. Se passa tutto ciò, può passare qualsiasi cosa. Gli scienziati devono scendere nello spazio pubblico quando viene distorta la realtà dei fatti.

Non lo dice abbastanza, ma la ricerca resta il suo “spazio pubblico”.

In maggio su Science, con il suo gruppo ha pubblicato un articolo groundbreaking sul serio, il risultato di cinque anni di lavoro in vitro seguito da poche ma intense settimane di esperimenti in silico su

  • come si formano, durante lo sviluppo del cervello umano, i neuroni striatali che muoiono nella malattia di Huntington. In altre parole: “vita morte e miracoli” di quei neuroni sani del nostro cervello… per poi capire al prossimo studio cosa succede a quei neuroni quando c’è il gene mutato. [Com. personale]

In vitro, il suo lab ha identificato 15 tipologie di cellule, ciascuna con una “identità” distinguibile dal suo trascrittoma, e ha mappato le loro relazioni nelle rispettive reti geniche.

Con la stessa tecnica, adesso si può capire come diventano differenziate e pericolose le cellule di un tumore per esempio (fig. 2 A).

Per la parte in silico ha collaborato con Samantha Morris che conoscevo solo per una ricerca sulle staminali “miracolose” dell’axolotl. Come mai, le ho chiesto? Suggerimento di una peer-review molto utile e soddisfacente. Nel suo lab, Samantha stava sviluppando CellOracle, rif. il preprint in nota 16. Telefonata. Ma sì, proviamo insieme.

Non so quale versione abbiano usato, ma Elena era entusiasta del collaudo:

  • E infine, pazzesco, con Cell Oracle puoi fare in silico knock out o sovraespressione di uno di quei geni a tuo avviso “hot” e capire cosa succede alle popolazioni [di cellule].

Così nel “prossimo studio”, differenzierà cellule staminali

  • per farne neuroni striatali più “autentici”, vicini al vero.

5 pensieri riguardo “Il potere agli scienziati?

  1. Epperò ci sarebbe un piccolo problema da affrontare che abbiamo visto fin da prima che il virus emergesse prepotentemente da noi: la Scienza in quanto tale non parla, parlano persone con titoli (almeno in TV), col risultato che una Gismondo (di un ospedale prestigioso ed esperta di bioterrorismo, in contatto con tutti gli esperti del settore del mondo) poteva ridere del covid e garantire che di pericolo non ce n’era (salvo poi, in meno di un mese, trovarsi con l’ospedale saturo e lasciare il posto in tv a qualcun altro). O uno Zangrillo, di un ospedale per ricchi, poteva affermare la morte clinica del virus alla prima pausa estiva.

    Poi sì, la maggior parte degli scienziati nom burocrati del settore diceva altro, però appunto c’è quel piccolo problema di sentirli anche quando parlano e capire chi possa avere ragione in caso di bisticci, o anche solo di ascoltarne qualcuno davvero.
    Così per dire, chi avrà consigliato di lasciare aperto l’ospedale di Alzano Lombardo? Chi, tra gli uomini di scienza, avrà appovato l’invio di positivi paucosintomatici nelle RSA? Nessuno, scommetto – anche se forse uno poi è andato a fare il consulente fuori Europa

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    1. Mettiamo che tutti siano competenti e in buona fede. Gismondo e Zangrillo sono “esperti in discipline diverse, possono avere prospettive contradditorie”, come dice Philip. E i politici devono decidere in base ad altre considerazioni. Dopo i primi casi a Vo Euganeo, per dire, Zaia aveva deciso di “seguire la scienza” – le raccomandazioni di Crisanti – perché aveva le risorse per farlo, consenso popolare compreso, e burocrati capaci di gestirle.

      Nessuno, scommetto
      non ci scommetterei, gli autori della Great Barrington Declaration sono scienziati con giudizi di valore ben esplicitati.
      E’ successo anche in Francia, in UK, in molti paesi dove ci sono RSA pubbliche. D’altronde a Wuhan – dove non esistono – sembrava che asintomatici e paucisintomatici fossero poco o per niente contagiosi.

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