Due anni fa, i fautori di soluzioni indolori (per loro) alla crisi climatica travisavano un articolo di Science, già fuorviante di suo. Per ridurre di due terzi la CO2 aggiunta all’atmosfera dalle nostre attività, dicevano, bastava piantare subito oltre mille miliardi di alberi su 1,6 mille miliardi di km2 (900 miliardi km2 nella versione non corretta).
(Esempi di travisamento nei commenti del Gentile dott. Mariutti sotto i post di Stefan Rahmstorf e di Paolo Vacchiano et al.)

Le foreste sono indispensabili. Per il clima, lo sono di più dove vengono abbattute più rapidamente. Su Nature Climate Change, lo confermano Sonia Sereviratne e due colleghi dell’ETH.
Stimano la capacità delle foreste (sane) di assorbire carbonio alle varie latitudini, se non ci fossero gli incendi che le stanno distruggendo più frequentemente. Dall’abstract:
- L’afforestazione e la conservazione delle foreste tropicali forniscono il maggior beneficio climatico con [la cattura] 732,12 tonnellate di CO2 equivalente per ettaro. A latitudini più elevate, il 73,7% delle foreste temperate riscaldano il clima invernale locale. Quasi un terzo (29,8%) delle foreste oltre i 56° N inducono un riscaldamento invernale netto considerando solo la loro biomassa. Quando il carbone del suolo viene incluso, la superficie di riscaldamento si riduce al 6,8%, ma con un’incertezza maggiore (2,9–42,0%).
Mi sembra la prima puntata di un lavoro che andrà complicandosi. Ci sono altre incertezze nella Discussion, e nel breve thread divulgativo di Michael Windisch, dottorando e primo autore.
Ingiustizia climatica
Sonia Seneviratne è anche un’autrice – con tanta bella gente – del “policy forum” di Science, “Intergenerational inequities in exposure to climate extremes“. Hanno
- selezionato sei categorie di eventi estremi dalla risposta quasi immediata al riscaldamento
siccità, tifoni tropicali, alluvioni, ondate di calore, incendi, perdita dei raccolti. Dati e tendenze. Poi con scenari che andavano da +0,87 come “base-line” a +3,5 °C nel 2100, hanno simulato quanti eventi avrebbero colpito le generazioni nate nel 1960 e nel 2020, per regione, reddito e demografia.
In base agli impegni attuali per la riduzione delle emissioni (scenario +3,5°C),
Nella loro vita, i 64 milioni di bambini nati in Europa e in Asia Centrale tra il 2015 e il 2020 affronteranno da 3,8 a 4 volte più eventi estremi [dei nati nel 1960], ma in Africa subsahariana per i 205 milioni di bambini della stessa età gli eventi estremi aumenteranno di 5,4-5,9 volte, e le ondate di calore da 49 a 54 volte.
Invece con impegni che limitano il riscaldamento a +1.5 °C, per la nuova generazione
lo scenario riduce di quasi metà (–40%) la maggior esposizione a ondate di calore estreme e, sostanzialmente, quelle a incendi (–11%), perdita dei raccolti (–27%), siccità (–28%), cicloni tropicali (–29%) e alluvioni (–34%)…
Un’eredità crudele lo stesso.
Nella “Discussion,” gli autori spiegano che sono modelli molto semplificati e sottovalutano probabilmente gli impatti perché gli eventi spesso si sommano, e quali dati renderebbero i modelli più realistici. Un programma di ricerca, insomma.
Non è in open access, ma se siete di un’Ong e lo chiedete alla Sereviratne, a Kerry Emanuel o Joeri Rogelj, ve lo mandano. Se no, ghe pensi mi. Recensione di Carbon Brief e del Guardian. Altre proiezioni nel rapporto per Save the Children.
In open access sullo stesso tema, Christopher Lyon et al. “Climate change research and action must look beyond 2100” su Global Change-Biology.
Semmai aggiungo altri paper usciti in questi giorni.