Nella Nuova guerra del clima, Michael Mann liquida le tecnologie per la cattura del carbonio in pochi paragrafi. Le soluzioni per tagliare le emissioni di CO2 ci sono già, “manca solo la volontà politica”. Sull’orizzonte ottico non c’è, ma il mercato sì.
Oggi su Nature, autori quasi tutti di Microsoft spiegano perché il mercato della Carbon Capture ormai c’è, anche se imbroglia, e come migliorarlo in
Microsoft’s million-tonne CO2-removal purchase — lessons for net zero
Prima di passare al loro punto di vista,
My two cents…
In trent’anni di “bla bla bla” – di più se partiamo dal rapporto Charney nel 1979 (sunto e importanza a pp. 2-3) – rispetto all’Ottocento le nostre emissioni di CO2 e altri gas serra si sono avviate a un raddoppio invece di diminuire. Calano solo nei paesi ricchi che le “esportano” nei paesi dove stanno aumentando più rapidamente.
L’effetto si è visto bene quest’anno. Siccità più intense e frequenti hanno prosciugato l’idroelettrico; l’afa dell’estate nord-europea ha ridotto la potenza dell’eolico; foreste incendiate per mesi hanno emesso CO2 invece di sottrarla; centrali elettriche sono state disattivate da alluvioni e altri eventi estremi ecc.
Quelle tecnologie hanno un “prezzo del carbonio” di almeno dieci volte il modesto “costo sociale del carbone“, perché il prezzo tiene un conto più realistico delle esternalità. Dei danni pagati in primis dai poveri che non hanno contribuito alla crisi climatica e ambientale.
E siccome le “emissioni negative” sono care, i primi clienti sono i grandi produttori e consumatori di energia: utilities sovvenzionate dallo stato nei paesi ricchi e multinazionali che se le possono permettere.
Per esempio le emissioni di Amazon – firmataria della “climate pledge” e sovvenzionata indirettamente – sono aumentate del 15% nel 2019 e del 19% l’anno scorso, insieme al suo fatturato… Potrebbe fare shopping a sua volta, no?
(E poi i due ricercatori che hanno fondato ClimeWorks mi stanno simpatici – per le loro pubblicazioni e come trattano i dipendenti, mica li conosco.)

… and their billions
Quest’anno Stripe (servizi finanziari on-line che usano servizi Microsoft) ha comprato la rimozione del carbonio da espansione delle foreste in Peru, Nicaragua e USA, e da iniziative statunitensi di rigenerazione dei suoli. Microsoft ne ha comprato la rimozione permanente (per oltre 1000 anni) dall’Orca di ClimeWorks nella quale ha investito attraverso il Climate Innovation Fund.
Durante lo shopping, Microsoft ha notato tre problemi:
- L’offerta di soluzioni capaci di rimuovere e stoccare effettivamente il carbone è una piccola frazione di quanto necessario per raggiungere emissioni “zero netto” entro il 2050. Ha ricevuto proposte per 170 milioni di tonn./CO2 ma soltanto 2 milioni erano abbastanza affidabili da giustificare l’acquisto.
- La carenza di proposte corrispondenti ai criteri aziendali riflette l’assenza di standard e di definizioni chiare. Circa un quinto delle proposte arrivate riguardavano nuove emissioni evitate, non la CO2 sequestrata a lungo termine.
- I sistemi di rendicontazione non distinguono tra stoccaggio della CO2 a breve termine nella biosfera e a lungo termine nella geosfera. Ne consegue una distorsione del mercato, e scoraggia gli investimenti in soluzioni più durevoli.
- In media, nelle proposte ricevute da Stripe lo stoccaggio in biosfera costava soltanto $16 a tonn/CO2, e quello in geosfera costava in media $141 a tCO2 — simile ai costi delle proposte ricevute da Microsoft.
Fin qui la mega-multinazionale la pensa come Michael Mann. Ma identifica tre priorità per rimediare:
- significato: definizioni che abbiano un significato corrispondente alle varie opzioni, così le aziende sanno quello che fanno; un budget globale del carbonio da rimuovere, stabilito da ricercatori, per quantificare gli sforzi compiuti e da compiere; “equità sociale” perché il raggiungimento dello “zero netto” deve “beneficiare le economie in via di sviluppo e le comunità disagiate (under-served)“;
- misurazioni: le aziende hanno bisogno di sistemi automatizzati e coerenti per misurare e rendicontare il carbonio lungo tutta la catena di produzione e di consumo dei prodotti;
- mercati: le aziende hanno bisogno di incentivi economici che promuovono le rimozioni di CO2 più efficaci. Lo stoccaggio in natura e lo stoccaggio nella geosfera non sono materie prime da valorizzare come se fossero equivalenti.
Significato si dice “meaning”, le tre priorità hanno la stessa iniziale di Microsoft… Detto questo, sembrano priorità logiche:
- Il prezzo e l’offerta cambieranno. E’ probabile che il costo della rimozione in natura aumenti mentre la domanda cresce e l’offerta cala con la saturazione delle foreste e dei suoli disponibili. Al contempo, è probabile che le tecnologie si sviluppino e si dispieghino su grande scala, diventando più accessibili e meno costose.
Solo che bisogna investire oggi “in assenza delle proiezioni di modelli economici su come cambieranno i mercati di rimozione della CO2” da qui al 2050.
Nel frattempo Microsoft si fida delle valutazioni dell’Ipcc: la Carbon capture and storage nella geosfera è la sola con misurazioni e verifiche “buone”.
(Ups… ore 16: post interrotto per tele-riunione Action Aid sull’Afghanistan, cliccato “pubblica” per sbaglio. Ore 17.50: tolgo refusi, aggiungo link e foto.)
Ciao
Il tuo blog è molto interessante.
Ti seguo da poco e con piacere.
Spero che visiterai il mio blog e magari che mi seguirai.
Ti auguro una buona giornata
Natalia
Piacere di conoscerti
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