Vien quasi da crederci. A Glasgow 20 paesi tra cui l’Italia e cinque agenzie e banche per lo sviluppo hanno promesso che dall’anno prossimo non investiranno più fondi pubblici nel “settore internazionale” dell’energia da combustibili fossili “unabated”- cioè i produttori che, all’estero, non ne catturano le emissioni.
Visto il prezzo della benzina e del metano, sarebbe da stupidi “investire” in imprese che ne buttano via un bel po’ in atmosfera o lo bruciano sul posto. Rende molto di più di tappare i buchi e venderlo.
Però al posto di tappabuchi – sistemi a basso costo, stando all’Economist – le BigOil & Gas preferiscono comprare politici compiacenti e finora l’investimento è stato redditizio. Gli USA campioni di fracking hanno firmato, però le Big Oil & Gas hanno già annunciato che se l’Environment Protection Agency regolamenta sul serio le emissioni di metano, le fanno causa. E con la Corte suprema che si ritrovano…
Negli ultimi cinque anni i firmatari hanno investito noccioline: $18 miliardi rispetto a $325 miliardi/anno per la sola Exxon Mobil. Più di 40 paesi rinunceranno al carbone entro il 2030, ma non quelli che sovvenzionano le proprie esportazioni di carbone, l’Australia per citarne uno, e di centrali a carbone, l’India per dirne uno, e la Cina smetterà di costruirle solo all’estero.
Però…
In “Il successo e il fallimento alla COP26” Stefano Caserini scrive che uno dei tre temi principali è l’aggiornamento al 2030 degli impegni per ridurre le emissioni presi con l’Accordo di Parigi. Quelli della Cina, di Israele e altri paesi sono arrivati all’ultimo minuto.
Ieri il gruppo di Climate Resource ha aggiornato le proiezioni del loro riscaldamento a fine secolo nel caso fossero realizzati anche gli obiettivi “net zero” sotto un titolo un po’ ingannevole. Come si vede nel grafico sopra, nello scenario ideale si arriverebbe a +1,9°C con un’incertezza di +/- 0,8 °C.
Zeke Hausfather fa notare che corrisponde all’incirca alla stima dell’Unep di dieci giorni fa, e che è fin troppo facile darsi obiettivi verificabili nel 2050 e oltre.
Però…
Ieri Corinne Le Quéré, Glen Peters e il centinaio – a occhio – di ricercatori del Global Carbon Project hanno pubblicato il “budget del carbonio 2021“, due papers (combustibili fossili 2020-2021) non ancora peer-reviewed (tutto il resto), ma è gente capace. Tant’è che Hannah Richtie di Our World in Data ha già aggiornato i grafici e le mappe, istruzioni per l’uso qui.
Il tutto corredato da infografiche a colori, foto, slides e sintesi dei punti cruciali, per es.
- La decarbonizzazione dell’energia ha mostrato un segnale forte e crescente nel decennio 2010-2020 al livello globale, facendo scendere le emissioni di CO2 in USA ed EU27, e rallentandone la crescita in Cina.
Per calcolare il budget, hanno stimato le emissioni da combustibili fossili, dalla produzione di cemento e dall’uso dei suoli, aggiornando e combinando i data-set. Per le prime due c’è stato il “rimbalzo” dopo i lockdown, ma dall’inizio del secolo quelle dovute all’uso dei suoli – deforestazione, in primis – calano molto più velocemente di quanto stimato fin qui.
Con le solite avvertenze sulle incertezze, i dati mancanti nonostante siano migliorati, anche grazie ai satelliti europei Sentinel (questi l’ho aggiunti io) e le motoseghe di Bolsonaro (sintesi mia)
Eppure la recensione di Carbon Brief è intitolata “Nuovi dati rivelano che le emissioni globali di CO2 sono rimaste stabili da un decennio”:
- Anche se le emissioni di CO2 da fossili hanno continuato ad aumentare, nell’ultimo decennio la media globale delle emissioni pro capite è piatta e il totale globale delle emissioni pro capite è piatto almeno dal 1959.
Grassetto mio – nel 1960 eravamo in 3 miliardi e nel 2020 in 7,7 miliardi.