QI, geni e videogiochi

Nei contatti, M.M. mi segnala un paper di Scientific Reports che di suo attribuirebbe volentieri ad “aruspici” ed emuli di Robert Plomin:

I videogiochi rendono i bambini più intelligenti, ne migliorano il QI rispetto alla media, hanno un effetto positivo inatteso, s’è letto qua e là. Con Paolo Attivissimo sono sempre d’accordo, ma

  • In particolare, più tempo si passa a videogiocare, più aumenta l’impatto positivo sull’intelligenza, e non ci sono differenze in questo effetto fra ragazzi e ragazze.

Questa volta no. D’altronde sono in disaccordo anche con me stessa: per una volta la peer-review di Scientific Reports non dormiva.

Ci vorrebbe Tiziana Metitieri, faccio del mio meglio… I quattro neuroscienziati svedesi e olandesi vorrebbero distinguere l’influenza dei geni da quella di video-giochi, tv e social sull’intelligenza dei giovani americani. Descrivono lo stato pietoso delle ricerche in materia. Cercano di ovviare definendo “intelligenza” come facoltà o abilità cognitive in una coorte di 9-11enni. Due anni dopo, confrontano il tempo trascorso davanti al schermo (screen time) con le misure di tali facoltà nei ragazzini che all’inizio avevano punteggi poligenici cognitivi (cogPGS) simili.

Aaargh… I soliti punteggi che correlano la frequenza di certe varianti genetiche all’intelligenza, al successo negli studi e negli affari.

Diversamente dagli studi che criticano, va detto, gli autori definiscono “intelligenza” e il quoziente che ne consegue in base a prestazioni misurabili singolarmente. E su richiesta di un* peer-reviewer, sia lodat*, provano a eliminare i fattori confondenti: livello di educazione dei genitori, “razza, etnicità, status socio-economico, urbanicity (ital.?).”

Da soli non ci arrivavano.

Risultato: le ragazzine intelligenti videogiocano di più e ci passano due volte meno tempo dei ragazzi. Le facoltà cognitive migliorano in tutti i videogiocatori, meno in quelli che guardano programmi TV di “qualità elevata”, il tempo passato sui social non fa differenza.

Sarebbe strano se a quell’età le suddette facoltà declinassero, no? Però:

  • E’ degno di nota che abbiamo anche trovato che l’effetto dei cogPGS sull’effetto [di videogiochi e tv] nel cambiamento dell’intelligenza era ampiamente positivo nei ragazzi e non aveva alcun effetto nelle ragazze. Sebbene la ricerca in materia sia ancora rara, il nostro risultato è conforme a ricerche recenti in cui i punteggi poligenici dei ragazzi fanno previsioni più elevate per il conseguimento [attainment] educativo.

Tradotto: i ragazzini americani sarebbero geneticamente predisposti a un maggior successo negli studi. Infatti dopo due anni di videogiochi, il loro QI era aumentato di +3,64 punti rispetto a una media di 2 punti.

Mettiamo che le statistiche siano corrette e “l’effetto dei cogPGS” ampiamente positivo soltanto sull’intelligenza e sul conseguimento educativo dei ragazzi americani. Che cosa valutano di preciso i punti di QI e i punteggi dei “siti genici associati all’intelligenza” quando in USA (e altrove…) si discute di un “gender gap” che va crescendo? Del fatto che, tolta la matematica nelle contee bianche e benestanti, le ragazze hanno maggior successo negli studi a prescindere da “razza, etnicità, status socio-economico, urbanicity (ital.?).”

3 pensieri riguardo “QI, geni e videogiochi

  1. Beh, più che attribuire ‘volentieri’, ancor di più, preferirei proprio non attribuire in questi casi, quindi grazie per l’approfondimento dato che mi ero appunto soffermato solo a quel paio di autori in bibliografia e dopo aver letto di sfuggita su differenze genetiche e contesto socioeconomico. A mia discolpa, mi sono fermato a Prince Of Persia 2.

    Poi in generale su punteggi poligenici e intelligenza ho pregiudizi a prescindere. Non per incominciare una diatriba nature-nurture, certo che a leggere di punteggi ‘altamente predittivi sul futuro di una persona’, inizio a chiedermi quanto ampio sia il consenso.

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    1. Ho pregiudizi anch’io, tanto più quando quei punteggi fanno previsioni sbagliate.
      Mettiamo che alcuni alleli siano condivisi da ragazzini con problemi di memoria a breve termine. Ipotizzare difficoltà negli studi mi sembra normale, poi va dimostrato che sono presenti in tutti i ragazzini con gli stessi problemi.

      inizio a chiedermi quanto ampio sia il consenso
      Non ho idea. Se può servire, quello del Partito comunista cinese è che gli Han sono geneticamente più intelligenti di tutte le altre etnie…

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      1. Certo, a prescindere da limiti e critiche sulla metodologia utilizzata ed in particolare in questo contesto. Vorrei cavarmela scrivendo che l’intelligenza in generale non è una spiga di mais e, soprattutto, la società non è un campo coltivato (ancor meglio una serra), ma cadrei nel simplicismo.
        Ben vengano le ricerche, è che talvolta ho la percezione che non si usi la dovuta cautela su certi temi come ad esempio i fattori predittivi.
        Tralasciando poi molti dubbi (chiamiamoli pure pregiudizi, mica tanto però) immaginando l’atto pratico, per quanto possa leggere di vantaggi esposti, francamente mi domando pure se gli stessi psicologi (non agronomi, architetti, … psicologi) abbiano chiare le idee su tutte le implicazioni derivanti quando si parla di predisposizione in genere e società. Non che le sappia io, ma qualche dubbio appunto sorge.

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