Per anni i “Va tutto bene, madama la marchesa” hanno protestato contro il RCP 8.5, uno degli scenari socio-economici usati nei modelli climatici: troppo improbabile e “catastrofista”.

Dall’inizio dell’anno però, nei due emisferi avvengono eventi estremi – siccità, ondate di calore, alluvioni, incendi – di una frequenza o intensità “senza precedenti”, eventi “normali” ogni mille anni per dire, che si ripetono da un ventennio.
(Nei media di solito attenti alla crisi climatica globale, non vedo né cronache né immagini degli incendi, e poi delle alluvioni e della siccità, che stanno devastando mezza Siberia da febbraio, documentate dai satelliti e dal Siberian Times.)
Molti climatologi si oppongono al “doomism”, all’idea che la crisi climatica potrebbe essere più pericolosa per le nostre società di come risulta dalle simulazioni dei modelli “Earth System“, più pessimisti di quelli climatici.
Però ieri sui PNAS è uscito
di undici scienziati che fanno questi modelli o ci contribuiscono. Tim Lenton è allarmato dai possibili “punti di non ritorno (tipping points) da parecchio tempo; tre non mi sembravano così preoccupati: Chi Xu (Oxford), Luke Kemp (Cambridge) e Hans J. Schellnhuber, un signore molto pacato del Pik. Gli altri non so.
Propongono un programma di ricerca su un tema “pericolosamente sotto- studiato” in gestione del rischio, che risponda a quattro domande. Sono esplicitate e argomentate con degli esempi, ma l’articolo è in open access e Google lo traduce gratis, cito dall’abstract:
- Quale potenziale hanno i cambiamenti climatici di portare a estinzioni di massa?
- Quali meccanismi potrebbero potare a mortalità e morbidità umana di massa?
- Quali sono le vulnerabilità delle società umane ai rischi a cascata innescati dal clima, per esempio conflitti, instabilità politica e rischio finanziario sistemico?
- Come sintetizzare utilmente questi molteplici filoni di evidenze – insieme ad altri pericoli globali – in una “valutazione integrata della catastrofe”?
Cf. BBC, The Guardian, Ken Rice, Zeke Hausfather, Gavin Schmidt, Reto Knutti (semmai aggiungo). Agg. 09/08 post di Ken Rice.
Gli autori sono già accusati di “doomism”, ma è ingiusto, trovo. Come sperava Stephen Schneider in “The double ethical bind”, sui PNAS e nelle interviste mi sembrano “efficaci” e al contempo “onesti” nello spiegare le incertezze e i limiti delle conoscenze attuali.
Schellnhuber ha fondato il PIK ed è stato consigliere scientifico della Merkel. Forse per questo *sembra* pacato. In realtà se leggi un suo libro (io ho letto “Selbstverbrennung” del 2015, finora mai tradotto in italiano) vedrai che è tutt’altro che pacato, anzi…
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Grazie Steph – è anche dell’Accademia vaticana, non proprio un covo di estremisti
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