Nella mailing list di Climalteranti, trovo un articolo sulla crisi climatica che sarebbe l’unica causa della carestia nel sud del Madagascar. Prima di dire la mia: se vi avanza qualche euro, farebbe comodo a Medici Senza Frontiere.

Vedo articoli simili da mesi:
- “Madagascar Famine is First Caused Entirely by Climate Change”, Time, 20 luglio
- “Madagascar famine becomes first in history to be caused solely by climate crisis”, The Independent, 22 agosto
- “Emergenza clima, Onu: ‘Madagascar rischia di subire la prima carestia dovuta all’aumento delle temperature'”, Il Foglio, 25 agosto (il Niño c’entrava nel 2016-2017, da due anni prevale la Niña…)
- “The world’s first climate change famine,” The Times, 30 agosto
Forse i media hanno la memoria corta.
E’ vero che la crisi climatica aggrava, “alimenta”, rende più intense la siccità che ha bruciato l’80% dei raccolti nel sud, le alluvioni che hanno distrutto i raccolti dell’anno scorso nel centro-nord, gli eventi estremi ricorrenti in un’isola che nel secolo scorso ha sofferto carestie a volte peggiori.
E’ vero che allunga il kere, il tempo della fame che c’è ogni anno per i tre quarti della popolazione. Ma 1,4 milioni di persone sono ridotte a mangiare foglie di cactus, pezzi di cuoio, argilla anche per altre cause.
Due. tre cose che so in ordine cronologico:
- colonizzazione francese predatoria e stragista, dai massacri degli “indigeni” nell’Ottocento fino a quelli del 1947; politici, insegnanti, scrittori e poeti “non assimilazionisti” deportati a Mayotte o incarcerati, dall’inizio del Novecento all’indipendenza nel 1960;
- dopo un’amministrazione rimasta in mano a ex coloni, dal 1970 miseria crescente prima sotto militari poi social-marxisti altrettanto brutali e incompetenti, sostituiti da cleptocrati che intascano i fondi internazionali per l’educazione, lo sviluppo o le infrastrutture (l’ultima volta che ci sono stata, il presidente golpista Andry Rajoelina era detto “TGV” perché da sindaco di Tananarivo s’era arricchito a Très Grande Vitesse);
- razzismo dell’élite francofona e bilingue verso le etnie “primitive”, spinte un’invasione via l’altra nella savana del Grand Sud, avara anche dove c’è un po’ d’acqua, buona giusto per il sorgo e la cassava;
- deforestazione praticata dai francesi da fine Ottocento, da vent’anni nei parchi nazionali da “imprenditori” cinesi con motoseghe, mitragliatrici e navi veloci per traghettare la refurtiva a quella in attesa al largo;
- land grabbing delle terre fertili da parte di Gem Biofuels (jatropha, poi mais), Daewoo Logistics, Tozzi Green della famiglia omonima (mais), fondo sovrano Al-Qudra Holding dell’Abu Dhabi e simili. I loro programmi “umanitari” sono micro-foglie di fico per raccomandati;
- fishery grabbing, concessioni “opache” dei diritti di pesca a Giappone, Corea del sud, Cina;
- pandemia, Rajoelina prescrive la tisana d’artemisia, aeroporti chiusi, niente turismo, aiuti umanitari mandati via mare;
- last but not least, indifferenza dei paesi ricchi.
In novembre, il World Food Programme chiedeva loro $37,5 milioni per 130 mila “bisognosi”; in giugno $40 milioni; dai paesi ricchi arrivavano solo spiccioli e i bisognosi aumentavano. Due settimane fa Wfp, Fao e Unicef avevano bisogno di $155 milioni.
Nella regione dell’Androy le famiglie sono così disperate che vendono le figlie, dice Mialy Randrianasolo dell’Unicef,
- un sessantenne che magari ha già quattro o cinque mogli può comprare una sposa dodicenne.
E’ una forma disperata del “titike”, una tradizione in quella regione di pastorizia. Per dimostrare di essere in grado di sposare una ragazza, bisogna regalare ai suoi genitori un* zebù rubat*. Siccome insieme alla miseria aumentano i ladri di bestiame, associazioni locali incoraggiano lo scambio simbolico. Ma non con una bambina.