Sulle riviste che leggo io, i necrologi di Edward O. Wilson – un “gigante” della biologia evoluzionista, dell’entomologia, dell’ambientalismo ecc. – trascurano o mettono sullo stesso piano due controversie.

La prima e più duratura è suscitata nel 1975 dal capitolo “eretico” di Sociobiology sulla selezione naturale dei nostri comportamenti – i.e. la natura prevale sulla cultura, determinismo genetico insomma. La seconda da un paper di Nature nel 2000 sull’eusocialità di certi insetti dovuta alla selezione di gruppo e non più a quella parentale.
L’eccezione era un editoriale di Monica McLemore su Scientific American:
Critica tre aspetti ricorrenti del razzismo detto “scientifico” prima di suggerire come rimediare:
- una distribuzione normale della statistica che postula esseri umani di default in base ai quali misurare le nostre deviazioni e conseguente inferiorità o superiorità;
- l’applicazione dello stesso metodo scientifico a specie di formiche e a gruppi umani. Per esempio la cattiva salute, la povertà e la minor aspettativa di vita dei Neri vengono associate alla loro nerezza e alla loro cultura, non a un razzismo strutturale;
- esaminare natura vs. cultura senza tener conto delle opportunità e dei potenziali (finanziari, religiosi, risorse della comunità ecc.) che influenzano profondamente l’esistenza e le esperienze umane, significa usare una lente rozza e crudele.
Tutto giusto, ma gvdr segnala critiche più circostanziate di Stacy Farina e Matthew Gibbons in
per Science for the people.
Sapevo che Wilson aveva arruolato sostenitori poco raccomandabili perché rispondessero agli attacchi alla sociobiologia dei “marxisti” Stephen Jay Gould e Dick Lewontin – di Harvard anch’essi.
(My two cents. Gould era un socialista romantico, per lui la ricerca non doveva contribuire a giustificare discriminazioni. Lewontin era un materialista dialettico, un marxista che preferiva Engels a Marx.)
Ma quello è il meno.
Nelle carte che Wilson ha donato alla Library of Congress, gli autori hanno trovato lettere – citate più a lungo da Mark Borello e David Sepkoski nel saggio per la N.Y. Review of Books – in cui negli Ottanta e Novanta difende le tesi e la promozione a full professor di John P. Rushton, uno psicologo razzista dell’università del Western Ontario,
- prestandogli credibilità mentre incontrava gruppi di neo-nazisti in giro per il Canada.
Wilson sollecita Bernard Davis, un amico e collega di Harvard caro ai suprematisti bianchi, perché faccia altrettanto. Davis era molto disponibile: a suo avviso bastava l’anatomia comparata a dimostrare che i Neri erano una razza inferiore…
Fa impressione vedere come Wilson difende i paper falsificati di Rushton, molto simili a quelli di Arthur Jensen di UC-Berkeley e Richard J. Herrnstein di Harvard, altri due “scienziati delle razze” con i quali intrattiene una corrispondenza.
“Gli piacevano le controversie,” scrive il mirmecologo Bert Hölldobler, suo amico e coautore. Era certo di essere dalla parte giusta:
- Per Davis and Wilson, il “lato corretto” del dibattito [con Gould e Lewontin] era ovvio. In una lettera a Davis, Wilson commenta “i loro antirazzisti preferiti della sinistra.” Opina che arguire per l’equità tra gruppi di persone è ideologicamente simile al razzismo, aggiungendo la frase evocativa “io la metterei così, l’antirazzismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”.
Dal “lato corretto” ancora nel 2014, quando promuove Una scomoda eredità di Nicholas Wade, un peana alla “scienza razzista” condito con strafalcioni propri.
I necrologi menzionano la sua infanzia nell’Alabama, uno stato di linciaggi l’ultimo dei quali nel 1989, dove Black lives don’t matter, e che ricordava di esser stato razzista da ragazzo. Per Corrie Moreau e Naomi Pierce, ha dato immensi contributi alla biologia evoluzionista e alla protezione della natura,
- conservando sempre la gentilezza e la generosità di un vero ‘gentiluomo del Sud’
E i pregiudizi, no?