E’ successa “una cosa ridicola” diceva ieri sera lo scrittore Paolo Nori. Nella nebbia dei sentimenti contraddittori sulla guerra in Ucraina è una cosa piccola, ma chiara.
L’università Bicocca aveva appena rinviato il suo corso su Dostojevskij “per evitare le polemiche” in un momento di “forte tensione interna”. Questa mattina è stato “ripristinato” (agg. nel senso di “ristrutturato” dal pro-rettore) dopo un sollevamento dei docenti.
Prima del comunicato dell’università, a radiopop, la filosofa Donatella Di Cesare citava altri episodi di “caccia alle streghe”. Alcune riviste, di filosofia teoretica presumo, rifiutavano addirittura di pubblicare gli articoli di suoi colleghi russi.
Succede anche a certe riviste scientifiche, scrivono Nisha Gaind e Holly Else su Nature. Vengono annullate conferenze in Russia, collaborazioni, l’accesso a nuovi finanziamenti. I ricercatori ucraini vorrebbero che i loro omologhi russi coinvolgessero le proprie istituzioni nelle proteste, e chiamano a un “boicottaggio” generale.
Si capisce. Le loro città sono assediate, le loro università bombardate. La resistenza ha bisogno di ogni arma a disposizione, almeno quelle simboliche non sono letali. Ma in Russia protestano persone di quasi tutte le “categorie sociali”, perfino dei politici, malgrado i rischi di ritorsione.
E gli scienziati si sono mobilitati per primi.
In una lettera aperta del 24 febbraio (trad. inglese) – oggi con più di 5000 firme – famosi ricercatori russi si sono dichiarati contro la guerra e hanno chiesto al proprio governo di “fare scienza, non la guerra”.
E migliaia di pacifisti russi sono stati arrestati questa settimana.
Donatella Di Cesare ricordava che le collaborazioni culturali, scientifiche e sportive mondiali sono nate proprio per rafforzare una pace sempre troppo precaria. Non dovrebbero entrare in guerra, diceva, né dettare a Valery Gergiev quello che deve dire in pubblico per poter dirigere l’orchestra della Scala.
Lo lascino fare ai dittatori.