Mentre si continua a cercare l’origine del Sars-Cov-2, su Medical Anthropology l’epidemio-antropologa Freya Jephcott pubblica “Propagating visions of a forest reservoir”, il racconto di una sua ricerca sul campo.

All’inizio del 2011, in Ghana un gruppo di epidemiologi deve rintracciare la fonte dell’infezione di herpes B (primo caso in Africa di virus trasmesso raramente dalle scimmie nel sud-est asiatico, che causa danni cerebrali) in 16 bambini del Brong-Ahafo (oggi la regione si chiama Bono Est). Conclude che
- che i bambini provenivano tutti da comunità al confine con una fascia forestale e che si erano probabilmente infettati interagendo con le scimmie selvatiche che la popolavano. Nei due anni successivi, svariati gruppi composti da medici e ricercatori sia ghanesi che stranieri, hanno indagato sull’epidemia. Quando i successivi test di laboratorio hanno messo in dubbio che il virus B fosse l’agente eziologico, questi progetti si sono concentrati invece su altre zoonosi associate agli animali che si credeva vivessero nella foresta.
Senza approdare a nulla. Da ipotesi ragionevole, la foresta piena di scimmie si trasforma in certezza. Origini simili sono attribuite all’HIV e a Ebola. In Camerun, gente “primitiva” caccia e/o mangia scimpanzé portatori del proto-HIV. In Guinea, pipistrelli portatori sani di Ebola sono migrati negli alberi delle città perché la loro foresta era stata abbattuta.
Solo che 14 bambini del Brong-Ahafo ricoverati nell’ospedale di Techiman abitavano a Techimen, una città senza né fascia forestale né parchi e pochi alberi attorno agli edifici governativi. Nella documentazione fotografica raccolta all’epoca, l’unica scimmia avvistata in città era un eritrocebo importato come animale da compagnia:
- la sua testa è stata inviata al NMIMR dove è risultata negativa per il virus B. Il resto delle fotografie mostrava cercopitechi mona e colobi del santuario delle scimmie di Boabeng-Fiema a est di Techiman, molto distante dalle comunità colpite.
In Ghana i medici ed epidemiologi locali, i virologi americani che (non) hanno identificato il virus e soprattutto una pediatra tedesca dell’ospedale scoraggiano Freya Jephcott. Anche se troverà le famiglie dei bambini, non vorranno parlarle e i bambini saranno tutti morti.
Intervista le famiglie, i figli sono vivi. Non sono state loro a dire che da piccoli erano stati morsi o graffiati dalle scimmie della foresta. Non li hanno mai visti “interagire” con le scimmie prima che si ammalassero. Lo avevano detto agli operatori sanitari. Che non le hanno credute. Avevano una visione di “fiction landscapes” – paesaggi da romanzo – che escludeva ipotesi alternative. Hanno continuato a propagarla, nonostante i test negativi e che nel cervello del povero eritropiteco non ci fosse traccia del virus B.
C’è molto altro nell’articolo. E’ anche un’inchiesta epistemica su come si formano le conoscenze sull’origine delle zoonosi e perché sono difficili da contestare. I protagonisti – ben intenzionati – si ingannano a vicenda: una delle pediatre è nata e vive lì, ipotizza una trasmissione da umano a umano, ma non insiste. Non fa parte di quella gente “brutale” e “superstiziosa”…
Le definizioni e le località della “foresta” cambiano da un rapporto all’altro, le specie di scimmie aumentano da una stesura all’altra anche se nella regione una specie non c’è e forse non c’è mai stata.
La “scienza coloniale”, inficiata da pregiudizi razzisti, viene spesso negata e quando va bene ridotta un’astrazione. Ma Freya Jephcott ha motivi professionali e personali per indagare da antropologa sul “misterioso focolaio” di herpes B.
Da epidemiologa era stata a Techiman nel 2012, aveva osservato il “paesaggio” e ne aveva una “visione” diversa. Gliela confermano immagini satellitari, mail scambiate dai gruppi di ricerca e le interviste. Resta colpita quando i virologi che hanno mandato campioni ad analizzare in USA non ne conoscono i risultati.
Non accusa nessuno di indifferenza o di razzismo. I test fatti in Ghana, anche nel laboratorio americano di Accra, erano poco affidabili, i risultati erano ambigui. A Techiman mancavano specialisti, per esempio tossicologi che avrebbero potuto suggerire anamnesi e analisi diverse.
Non sarebbe bastato perché esiste
- un vasto canone di resoconti popolari e scientifici sull’emergenza di zoonosi in Africa. Dipinge un quadro molto simile di foreste piene di fauna selvatica che traboccano (spill over) di virus pericolosi, i quali ogni tanto si riversano nei poveri che vivono alla periferia della foresta e hanno “pratiche culturali rischiose”.
E’ un immaginario potente, “conradiano”, che risale a romanzi dell’Ottocento, agiografie di bush doctors, missionari eroici, médecins de brousse solitari come il buon dott. Schweitzer. Le conseguenze disastrose sono state descritte da antropologi prima ancora delle decolonizzazioni e dopo da specialisti delle malattie tropicali come Paul Farmer. Non è servito, la foresta resta il cuore di tenebra,
- il “serbatoio” presunto del focolaio. La sua persistenza nella mente, nei resoconti e le proposte degli addetti anche dopo la smentita dei risultati di laboratorio che l’avevano innescata, ci dice quanto siano convincenti queste idee di una “natura profonda” quale fonte della malattia.
Però così mi manca un pezzo. Alla fine quel virus da dove veniva? Mutazione in un umano che poi si è diffusa nell’area?
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Se intende il virus herpes B, potrebbe essere passato da un piccolo paziente a un altro o l’infezione potrebbe essere dovuta ad altro.
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ma questa indagine può essere estesa così direttamente alle ipotesi su Ebola o HIV? O è una suggestione anche questa? pensavo fossero un po’ più meditate visto anche il tempo passato…
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Era un’indagine raffazzonata che partiva da una diagnosi discutibile. Sulle infezioni di Ebola e di HIV non ci sono dubbi, e negli ultimi 40 anni ci sono state centinaia di indagini sulla loro origine ma resta incerta lo stesso.
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