Alla fine del secolo scorso Émilie du Tonnelier de Breteuil (1706-1749), moglie del marchese du Châtelet, era ancora la traduttrice e curatrice (con commenti, correzioni e bibliografia annotata) dei Principia di Newton, più raramente la co-autrice degli Elementi della filosofia di Newton con Voltaire e tro i francesi ancora cartesiani. In primis era l’amante e protettrice di Voltaire, quell’impertinente troppo spiritoso per suo il bene, dentro e fuori
dalle patrie galere, agiografo (sgraziato) dell’oppressore se serviva per farsi perdonare un bon mot offensivo, di bassa estrazione eppure milionario.
Ne aveva celebrato l’intelligenza, la cultura, la vivacità, lo stile, il gusto aristocratico e fra molti altri talenti quello per la fisica e la matematica – che lui non aveva. Bref, la “divina Émilie” era “un genio potente”, “un grande uomo con l’unico difetto di essere una donna”. Per Kant, un altro ammiratore, le manca solo la barba.

Negli anni Cinquanta era uscita la corrispondenza di lei (non con Voltaire, persa per sempre?) con un lungo elenco di destinatari in tutta Europa: amiche, il marchese mandato dal re a combattere interminabili guerre di succession, politici, filosofi, amministratori dei suoi castelli e tenute, prelati e magistrati, membri di svariate famiglie reali, banchieri, fornitori e tanti, tantissimi savants. In svariate lingue, latino compreso.
I savants erano stati i suoi docenti dopo che aveva dato tre figli al marito (collocati da parenti bisognose) e deciso di dedicarsi agli studi. O avevano rivisto o presentato i suoi articoli scientifici pubblicati anonimamente (esclusa dall’Accademia, una donna non poteva firmarli). O partecipavano al dibattito sulle pubblicazioni altrui. Non era soltanto la traduttrice dei Principia di Newton. Discuteva di algebra, geometria, calcolo con Eulero, Algarotti, uno dei Bernoulli, gentiluomini della Royal Society o studiosi ospitati da qualche regnante – come lo sarà lei nei palazzi di Stanislao Leczinski, re di Polonia e duca di Lorena). Partecipava alle polemiche, i cartesiani non si lasciavano convertire al newtonianisme senza combattere, difendeva i suoi filosofi preferiti, riceveva e frequentava i salotti.
Nel 2010, sono stati ritrovati gli archivi della famiglia du Châtelet, documenti inediti, articoli che parlavano di lei e della sua cerchia nelle gazzette, bozze, contratti, brevi mémoires… Così cinque anni fa è uscita una nuova edizione della corrispondenza: 1250 pagine a cura di Ulla Kölving e Andrew Brown e di una decina di collaboratori.
La ragazza con il compasso d’oro di Paola Cosmacini (Sellerio, 250 pagine, 20 euro), è la prima biografia italiana che ne tiene conto. In 12 capitoli preceduti ciascuno da un ritratto, racconta una vita frenetica di viaggi, ricevimenti, concerti e divertissement – anche nel “paradiso” agreste di Cirey c’è un teatro e recite quasi ogni giorno. Disciplinata lo stesso, Émilie si alza prima dell’alba per scrivere e studiare.
Filosofa della Ragione – come nel breve trattato sulla felicità – analizza la sua passione per il gioco d’azzardo, nonostante i debiti che ne conseguono, le sue pene d’amore per Saint-Lambert, un giovane bellimbusto che l’abbandona subito, ma accanto al marchese e a Voltaire, tornerà da lei mentre sta morendo dopo averne partorito la figlia – che il marchese riconosce come sua.
“La straordinaria vita della scienziata” è un po’ riduttivo. La scienza, e ancor di più la libertà di una (nobil) donna di primeggiare nell’impresa di sua scelta, non è l’unica passione della marchesa. Desidera conoscere tutto con una curiosità ingorda. A cominciare da sé: si osserva, si giudica con i propri criteri femminili, diritto alla frivolezza e all’amicizia compreso.
Nel libro sembra di vederla muoversi nel suo mondo come si vedeva lei, non come nei ritratti postumi, seduta, il volto sereno quasi serioso, il compasso, l’astrolabio, il telescopio, i quaderni. E’ felice, infelice, sola, in compagnia, ansiosa di finire uno scritto, impaziente di ricevere il parere di un savant o dell’amante sul nuovo mobilio di un castello, passeggia elegante e tranquilla nei suoi giardini à la française.
Privilegiata, amata, rispettata e schernita (une femme savante!), chiacchierata (come mai il marchese è così amico dell’amante?), tradita (Voltaire s’è accasato con la propria nipote ventenne, tutta Parigi lo sa, lei no), mai appagata.
E’ una biografia molto diversa da – per esempio – Émilie, Émilie di Elisabeth Badinter sull’ambizione femminile nel Settecento francese. E’ meno rigida, più sentimentale, costruita con un montaggio di istantanee dei personaggi, come piccole pennellate e lunghi primi piani all’improvviso. Di parte, d’altronde erano di parte le fonti – 36 pagine di bibliografia – raccolte anche da Benedetta Craveri.
(Unico difetto, facile da correggere nella ristampa: i refusi nelle frasi e nei termini in francese, ma forse me ne accorgo solo io.)