I Majorana e i malumori

“La posta in gioco è alta,” scrive Sergey Frolov su Nature, purtroppo “un’ombra è calata sulla gara per rilevare un nuovo tipo di particella, il fermione di Majorana, che potrebbe alimentare i computer quantistici”. I quantum bit diventerebbero stabili, inizierebbe una rivoluzione. Bref, nel settore c’è una “eccitazione” che non si vedeva dai tempi “delle onde gravitazionali e del bosone di Higgs”.

La differenza è che sulle riviste escono scoperte clamorose, ma se poi si va a guardare i dati che, guarda caso, gli autori hanno omesso, salta fuori che i gareggianti si sono illusi.

Frolov ne sa qualcosa. Sul paper di Hao Zhang et al. della Microsoft uscito nel 2018 su Nature con il collega Vincent Mourik, ha gettato un’ombra così scura che il paper è stato ritrattato due settimane fa. Certo, produrre quei fermioni in esperimenti di laboratorio è di una difficoltà pazzesca, ma gli sembra un motivo in più per essere cauti e rigorosi.

  • Sperimentalmente, i ricercatori litigano sul rilevamento o meno dei Majorana, per non parlare del loro ruolo decisivo per il quantum computing. Mentre lo scetticismo s’insinua oltre la cerchia dei cognoscenti, il campo rischia di farsi una brutta reputazione, nonostante le sue promesse ancora da sondare.

(Ecco, si possono chiamare Majorana e basta.) Si incavola a lungo, ma scrive bene.

ActionAid AFG (@ActionaidA) | Twitter
Foto: Action Aid Australia

Sempre su Nature, Dorothea Frank et al. protestano un po’ incavolati anche loro per l’assenza di modelli, metriche, indicatori, investimenti per prevedere, valutare e contrastare i rischi di eventi estremi, “a cascata” come alluvioni, incendi e cicloni. Eppure stanno già rendendo irraggiungibili gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile.

  • Ai politici può essere difficile giustificare per il proprio elettorato grandi investimenti in misure di resilienza, perché spesso non hanno un ritorno immediato e la tempistica e la portata degli eventi estremi futuri sono ignoti. Ma a lungo termine evitare la spesa è molto più costoso, come mostra l’attuale pandemia.

L’articolo è da far girare nelle Ong internazionali della rete Climate Justice, trovo.

Disastri a cascata stanno devastando Cox’s Bazar, nel Bangladesh, e la vita di quasi un milione di rifugiati (molti sono arrivati dopo il golpe nel Myanmar, non solo Rohinja). L’estate scorsa Greta Thunberg aveva dato $100 mila ad Action Aid per riscostruire rifugi (shelters) per bambini e donne, scuole, mense, dispensari ecc. distrutti dall’ennesimo alluvione. Insieme a Ong locali eravamo a buon punto quando tre settimane fa è divampato un altro incendio. Facciamo del nostro meglio, ma è un meglio misero, troppo poco per vari ordini di grandezza.

Chiediamo soldi, of course, ma come Dorothea Frank e i suoi colleghi, chiediamo soprattutto ai governanti di ascoltarci…

Sono incavolati anche migliaia di ricercatori britannici ai quali il governo taglia i fondi dopo aver promesso che mai e poi mai. Le loro due lettere aperte, scrivono,

  • riflettono l’ondata di rabbia e preoccupazione per i progetti danneggiati e abbandonati e le collaborazioni che rappresentano. Questi tagli non colpiranno solo i ricercatori come noi: danneggeranno le comunità emarginate con cui lavoriamo.

Come se ai Tory importasse qualcosa…

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