Sotto shock

Ne parlano tutti i giornali, per il Guardian è “una decisione sismica“, su Nature Amy Maxwell titola: “Mossa shock: il governo USA appoggia la rinuncia ai brevetti sui vaccini Covid.” Il sottotitolo riassume le reazioni, scontate entrambe: “Questo sviluppo dell’amministrazione Biden suscita il plauso dei ricercatori della sanità pubblica e l’ira dei produttori di farmaci.”

Il sisma è iniziato in ottobre. Da allora milioni di attivisti, scienziati, medici chiedono ai governi di approvare la proposta dell’India e del Sudafrica di sospendere o rinunciare (to waive) ai brevetti non soltanto sui vaccini, ma anche su “dispositivi medici, farmaci e tecnologie diagnostiche collegati al Covid-19”. Oltre 100 governi lo avevano fatto a gennaio, quando la nuova presidente dell’Organizzazione mondiale del commercio ha iniziato a convocare riunioni sul tema.

Fino a ieri Svizzera, Canada, Australia, Norvegia, Brasile, Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna e Giappone avevano opposto un veto. Canada e Unione Europea si sono detti disposti a cambiare idea, stamattina erano rimasti in sei.

La Pharmaceutical Research and Manufacturers of America ha espresso la propria ira in un comunicato che riprende – fa notare Maxwell – gli argomenti di Bill Gates:

  • Il governo Biden ha fatto una mossa senza precedenti che minerà la nostra risposta globale alla pandemia e comprometterà la sicurezza [dei vaccini].

In realtà i precedenti ci sono. Da decenni agenzie dell’Onu con programmi come Usaids e Gavi, e la fondazione Gates – che contribuisce a molti di questi – comprano in India e in Brasile farmaci e vaccini “generici”, autorizzati e controllati dalla Food & Drug Administration. A parole il governo statunitense preferisce trattare sconti con le BigPharma, ma finché non li ottiene, agenzie come l’Usaid e il programma Pepfar comprano generici da produttori brasiliani.

(Idem altre fondazioni, Medici Senza Frontiere e centinaia di Ong sanitarie internazionali, tutte favorevoli alla rinuncia ai brevetti.)

Gli accordi sui prezzi variano, ma tutti tengono conto dei finanziamenti pubblici e/o filantropici senza i quali quei farmaci non esisterebbero.

Dall’inizio del 2020 farmaci, vaccini e test “collegati” al covid sono finanziati in parte o in tutto da governi e fondazioni. Dal governo statunitense con circa $35 miliardi; dalla fondazione Gates attraverso l’alleanza Covax e con la costruzione di apposite fabbriche.

Pfizer, il cui vaccino è stato finanziato dalla Germania e dall’Unione Europea, ha dichiarato pochi giorni fa che nel primo trimestre 2021 ne aveva venduti per $3,5 miliardi, con un margine di profitto (lordo) “nella parte alta dei 20%“, circa $900 milioni. Prevede di venderne per $26 miliardi entro fine anno.

La rinuncia ai brevetti da sola non basta, scriveva Aisling Irwin in marzo,

  • La loro produzione può richiedere oltre 200 singoli componenti [coperti da brevetti] che spesso sono prodotti in paesi diversi.

L’Organizzazione mondiale della sanità aveva proposto di coordinare la “catena dei fornitori” e di verificare la qualità dei singoli prodotti. Non basta nemmeno quello:

  • Ci vogliono tre mosse,” spiega Rachel Cohen dell’Ong Drugs and Neglected Diseases Initiative, basata a New York. “La prima è rimuovere gli ostacoli dei brevetti; la seconda, trasferire le conoscenze su come farli; e la terza mossa è un investimento massiccio nella capacità manifatturiera.”

Un investimento da parte di chi?

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Stamattina ascoltando la trasmissione di Vittorio Agnoletto a radiopop, ho scoperto che il movimento ciarlatano Ippocrate è attivo anche in Italia. Come in Francia da marzo 2020, medici tele-prescrivono la cura Raoult – idrossiclorochina, ivermectina, azitromicina associati ad altri farmaci inutili e/o dannosi – a migliaia di persone. I pazienti chiamano “anche dall’estero” perché ritengono di aver contratto il covid… Risultati “eccellenti”: un decesso solo su 12 mila, stando a un responsabile; 7 secondo altri…

***

Negli investimenti per il clima, il governo Biden prevede una “Foundational Infrastructure for Responsible Use of Small Modular Reactor Technology (FIRST)”. Tradotto: un’infrastruttura fondamentale per l’uso responsabile della tecnologia dei piccoli reattori modulari concordata con i paesi membri dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che li stanno sviluppando.

Né grandi centrali né ritorno al passato, insomma. Tanto meglio, visto l’articolo di Richard Stone su Science

It’s like the embers in a barbecue pit.’ Nuclear reactions are smoldering again at Chernobyl.

Stando a un paper di Falko Ueckerdt del PIK et al. su Nature Climate Change, è sbagliato puntare sull’idrogeno salvo per i settori come l’aviazione e la produzione di acciaio, “inaccessibili all’elettrificazione diretta”. Sintesi: i carburanti a base di idrogeno (detti electric fuels o efuels) sono troppo inefficienti e costosi da produrre per usarli nelle automobili o per riscaldare le case, cioè per le priorità stabilite dal ministro Cingolani in attesa della fusione nucleare.

Forse qualcuno dovrebbe dirglielo. Com. stampa del PIK, articolo del Guardian.

Su Nature di oggi: per via della fusione della calotta antartica il livello del mare si alza più rapidamente, se non si rispetterà l’Accordo di Parigi, sarà peggio. Rassegna stampa della co-autrice Andrea Dutton.

Per via delle fusioni dei ghiacciai in generale, entro fine secolo l’innalzamento rischia di accelerare di brutto – com. stampa del King’s College di Londra e articolo di Tamsin Edwards, la prima autrice, sul Guardian.

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