Io so cosa farei con i soldi degli armamenti. Non tutti, mica sono il papa. Mi accontenterei del 2%, il dividendo di pace proposto prima della guerra da Carlo Rovelli con l’aiuto di Roger Penrose.

Sir Roger è un matematico, mi fido dei suoi calcoli. I firmatari dell’appello chiedono ai governi guerrafondai il 2% della loro spesa militare per 5 anni a partire dal 2025 e lo metterebbero in un fondo Onu “per prevenire le pandemie, mitigare i cambiamenti climatici e ridurre la povertà”. Io li chiederei da subito, e sceglierei con cura le agenzie dell’Onu e le Ong a cui affidare i miei $1,5 trilioni entro il 2030.
Ho già pronto un comitato di supervisione composto interamente da scienziate di cui tre economiste fantastiche.
La crisi climatica e ambientale aggrava tutte le altre, quindi ne accorperei un po’ e ho appena scoperto che costerà meno del previsto. A dispetto dei modelli di economisti famosi infatti, “mitigare i cambiamenti climatici, accrescere l’accesso all’energia e ridurre la povertà rurale possono essere [scopi] complementari”.
Tre piccioni al prezzo di uno.
Lo scrivevano Christian Casillas e Dan Kammen su Science nel 2010 e suggerivano di raccogliere un po’ di evidenze. Le lampade a led duravano di più e consumavano meno di quelle a incandescenza? Un contatore ben leggibile dell’elettricità induceva al risparmio?
All’epoca le prime mini-grid a energia rinnovabile spuntavano nelle campagne dove non arrivava la rete, oggi costano 10 volte meno e sono copiate da “comunità energetiche” nei paesi ricchi. Nel frattempo sono usciti centinaia di scenari “low energy”, stime dei costi e benefici del “disaccoppiamento” dell’economia dal carbonio e del PIL dal benessere, case studies ecc.
L’evidenza c’è. Nessuno mette in dubbio che l’energia sia indispensabile al benessere e che in molti paesi poveri occorra consumarne di più di oggi, ma quanta e per farne che cosa, di preciso?
Su Ecosphere, ho letto il paper di Rob Jackson et al. “Human well-being and per capita energy use”, che propone un modo per stabilirlo. Per 140 paesi, gli autori calcolano il consumo di energia pro capite grazie al quale tra il 1971 e il 2018 sono migliorati: accesso all’elettricità, qualità dell’aria, disponibilità di cibo (kcal/giorno), coefficiente Gini (eguaglianza), indice di felicità, mortalità infantile, aspettativa di vita, prosperità, impianti igienici.
(Dopo il 2018 mancano troppi dati. Nove “metriche” per il benessere sembran poche, ma ciascuna aggrega svariati Scopi dello sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030: acqua potabile e cibo a sufficienza per tutti, città vivibili, riduzione della povertà, accesso per le donne all’educazione e alla pianificazione delle nascite ecc.)
Fatto questo, dividono il consumo nazionale di energia primaria (il totale meno quella sprecata, e quella usata per la produzione di beni e servizi esportati) nel 2018 per il numero di abitanti. E lo confrontano con il consumo individuale necessario e sufficiente per arrivare al plateau dove ogni metrica si stabilizza su una “soglia” prossima a quella dei paesi ricchi, per es. la Finlandia.
Utilizzano altre variabili, per es. la performance e la densità energetica, per vincolare le correlazioni o la loro assenza. Comunque avvertono che un modello così ha molti limiti perché dipende dalla scelta delle metriche e dal fatto che non tutte sono indipendenti.
Le differenze a volte sono enormi. Nel 2018, il consumo pro capite mondiale era di 79 GigaJoule/anno e coincideva con la soglia di “efficienza energetica” oltre alla quale il benessere restava uguale. A Cuba era di 25 GJ e in Corea del Sud di 225 GJ, ma la mortalità infantile cubana era inferiore a quella sud-coreana (e statunitense).
Ai poveri, servirebbero
- tra 10 e 75 GJ persona−1 su scala nazionale (per 5 metriche tra 10 e 30 GJ persona−1). L’eccezione degna di nota è la qualità dell’aria (in 133 paesi, la soglia è di 125 GJ persona−1).
Morale:
- Se fosse distribuito equamente, il consumo medio globale di 79 GJ persona−1 potrebbe in teoria consentire a ogni persona al mondo di realizzare il 95% o più di ogni metrica (in assenza di altri fattori limitanti).
Invece circa due miliardi di persone soffrono di “povertà energetica”.
- Surprisingly, la nostra analisi suggerisce inoltre che un consumo pro capite ridotto di energia primaria potrebbe avvenire in teoria in molti paesi dai consumi elevati con poca o nessuna perdita in termini di salute, felicità e altri esiti, riducendo il bisogno di infrastrutture energetiche globali e accrescendo l’equità globale.
Non esattamente una sorpresa, visto che in bibliografia citano quattro paper di Julia Steinberger. Com. stampa di Stanford.
Ecco. Così risparmio mezzo trilione da destinare alle vittime delle guerre in corso, prima le donne e i bambini, richiedenti asilo e disertori soprattutto se artist* e saltimbanch* (per divertire i bambini).
Poi cerco quanto costa prevenire le pandemie non solo umane evitando di distruggere l’ambiente e la biodiversità.
Poi…
Eh, magari…
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Si può sempre sognare, Paolo…
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