La penso come Greta Thunberg (da 19’00”): l’energia nucleare non è il futuro, ma ogni paese deve valutarne i costi e benefici in funzione delle proprie risorse e bisogni.
Di mio pensavo che i piccoli reattori modulabili (SMR) avrebbero fatto comodo nei paesi poveri dove troppa gente non ha ancora accesso all’elettricità o nelle megalopoli dove viene asfissiata dalle centrali a carbone. (Da lettrice di “Fondazione“, immaginavo anche moduli da valigia al posto dei generatori che Medici Senza Frontiere e altre Ong devono noleggiare e far trasportare sul luogo di qualche disastro.)
In marzo l’Economist titolava:
Una speranza ingiustificata:
- Sulla carta, tutto bene. Ma la storia consiglia un certo grado di scetticismo. I tentativi di costruire SMR commerciali, risalenti agli anni Sessanta, sono naufragati sugli scogli gemelli dell’economia e della tecnologia. La difficoltà maggiore, dice M.V. Ramana, un fisico della School of Public Policy and Global Affairs all’università della British Columbia, è che i piccoli reattori partono con un handicap rispetti ai cugini più grandi. Il costo della costruzione di un reattore aumenta più lentamente della sua potenza in uscita. A parità di condizioni, più grande significa più economico.
A differenza degli EPR però, i moduli sono progettati per essere fabbricati in serie con conseguente “economia di scala”. O no?
- La centrale NuScale in Idaho è pagata in parte da sussidi federali, ma i suoi costi sono aumentati, dice il dott. Ramana, da $3,6 miliardi nel 2017 a $6,1 miliardi nel 2020.
Anche i tempi di consegna sono da EPR: 7 anni per avere un modulo, leggevo ieri. E sempre a proposito “sulla carta, tutto bene”, Luigi Moccia segnalava un articolo di Ramana, uscito ieri su Counterpunch, dove spiega “la difficoltà maggiore”.
Paragona la credulità nelle promesse di NuScale e aziende simili a quelle nelle promesse di Theranos. E fa altri esempi di “escalation” dei tempi e dei costi:
- La stima per il progetto dell’Association of Municipal Power Systems nello Utah è passata da circa $3 miliardi nel 2014 a $6,1 billion nel 2020— questo per costruire 12 unità di SMR NuScale che dovevano generare 600 megawatt. Il costo era così elevato che NuScale ha dovuto cambiare l’offerta in meno unità per 462 megawatt, ma a un costo di $5,32 miliardi. In altre parole il costo per kilowatt di capacità è attorno a $11.500.
Bref, troppo caro e troppo tardi per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici.
Sembra un tecno-pessimista? Il fisico Amory Lovins, un tecnottimista, arriva alle stesse conclusioni in una rassegna storica che riguarda principalmente gli Stati Uniti, uscita sul numero di maggio di The Electricity Journal
In breve: stato pietoso e prospettive poche. Quanto alle implicazioni per il clima
- Nelle sue forme tradizionali o nuove [come gli SMR], il nucleare è semplicemente troppo lento per fare molta differenza. Perversamente, rallenta le opzioni più veloci ed economiche bloccando la concorrenza, occupando spazio di mercato e capacità della rete e sottraendo soldi, talento, attenzione e tempo alle soluzioni più efficaci per il clima. Gli sforzi per espandere l’energia nucleare, per quanto ben intenzionati, stanno quindi peggiorando il cambiamento climatico, ma continuano a intensificarsi.
Però i reattori modulari dovrebbere occupare un piccolo spazio nella ricerca. Per crearne uno da valigia che alimenta un ospedale o un campo profughi o…
Uno scudo nucleare grande come la fibbia nella cintura di volontari che stanno cercando di portare cibo ai somali, e rischiano di venir decapitati dai miliziani di Al Shabab…
Oggi è uscito Nature, con tante cose da segnalare nell’O’s digest domani.