Nel mio giro c’è parecchio entusiasmo. E’ un “successo della scienza”, “la terza dose [del vaccino anti-covid] non serve più”, “mandiamola nei paesi poveri” ecc. Potenza del comunicato stampa della Merck.

Mi ricorda tanto quello della Gilead sul remdesivir “già raccomandato in Cina” prima che fossero pubblicati i risultati dei trial – molto meno entusiasmanti. Non riesco a credere a BigPharma sulla parola, ma se “anche stamattina a radiopop, un fisico di Roma…”
Va be’, provo a informarmi e mi vengono solo domande.
In parte hanno già risposto Andrea Capocci sul manifesto, Robert Service e Kai Kupferschmidt su Science, e Giorgio Gilestro anche con la storia della molecola, progettata contro i virus dell’influenza e dei suoi brevetti, e il confronto tra costo di produzione e prezzo di $700 per 5 capsule.
Il comunicato aziendale intitolato
accenna a risultati preliminari di un trial di fase III (un altro è iniziato il 1 ottobre). Sono stati così soddisfacenti da interromperlo, dopo consultazione con la FDA, due mesi prima della conclusione nonostante i pazienti trattati erano solo metà di quelli previsti, e il 90% del totale era già stato arruolato, tamponato ecc.
La prima domanda mi viene già dal titolo.
Perché paragonare la riduzione del rischio a quella di un placebo e non delle cure standard? Visto che esistono e han salvato perfino un Potus, perché è considerato etico somministrare un placebo?
Perché fermarlo? Con soltanto 385 e 377 pazienti, rispettivamente, il gruppo molnapiravir suddiviso in tre per ciascuna posologia, e la quantità di variabili (età, comorbidità, diagnosi e somministrazione più o meno precoce ecc.), la statistica dei ricoveri è decisamente “underpowered”.
Dopo 29 giorni, nel gruppo molnupiravir non ci sono stati decessi – ottima notizia – e 8 nel gruppo placebo.
Una volta ricoverati, i volontari hanno ricevuto tutti la stessa cura? O “dipende”? Remdesivir? Anticorpi monoclonali? Corticosteroidi? Un altro antivirale fra quelli raccomandati?
I risultati della fase IIa (sicurezza, non tossicità) erano in un preprint del 17 giugno. Positivi, certo, ma statisticamente ancora più underpowered. I volontari erano 202 in tutto, con una diagnosi effettuata fra 1 e 7 giorni dalla manifestazione dei sintomi, e la loro carica virale era misurata per 5 giorni. Era bassissima nel gruppo molnupiravir,
- ma non c’erano differenze rilevabili nella durata e la severità dei sintomi nell’arco dei 28 giorni.
Cos’è successo tra giugno e agosto?
Due settimane fa su Nature Structural and Molecular Biology, è uscito
Molnupiravir: coding for catastrophe
dove la catastrofe è il tasso di mutazioni inflitto al Sars-Cov-2. E’ una rassegna delle ricerche sulla molecola e ne spiega il meccanismo di azione (come causa la mutagenesi). Gli autori concludono che a 14 giorni di distanza non sembra interferire con il nostro Dna mitocondriale,
- Tuttavia è stato suggerito che l’esposizione al molnupiravir può essere mutagenico per il Dna dell’organismo ospite durante la replicazione del Dna. Quindi i potenziali effetti indesiderati richiederanno ulteriori ricerche.
Il suggerimento, che deriva da uno studio in vitro e sui topi, è stato contestato da Sean Troth della Merck e altri detentori del brevetto. In base ai propri studi in vitro e suoi topi, ritengono che a quelle dosi il farmaco non è tossico per i nostri geni.
Perché questi risultati non sono stati pubblicati?
Nota
Se il Drosophila melanogaster‘s Genetics and Neuroscience Fan Club non fosse inattivo da anni, la sua presidente proporrebbe a socie e soci di nominare Giorgio Gilestro socio honoris causa.
Su Nature in agosto, lettura tuttora gratis, insieme al suo gruppo ha spiegato perché l’amata moscerina decide di svegliarsi o meno quando percepisce un disturbo durante il sonno notturno o durante un pisolino diurno.
- Mostriamo che le [belle, ndr] addormentate, come gli umani, discernono la qualità di stimoli sensoriali e hanno maggiori probabilità di svegliarsi in risposta a stimoli salienti.
E fin qui… Che un profumino appetitoso la sveglia di botto mentre uno blando e già noto non turba la sua pennichella, lo sapevamo già. Ma c’è di più:
- Mostriamo anche che la salienza di uno stimolo durante il sonno può essere modulato da stati interni.
Logico. Se è stanca, sazia o un po’ ubriaca continua a ronfare nonostante una zaffata di banana matura. Inoltre Gilestro et al. forniscono un diagramma
- del circuito di elaborazione sensoriale che collega l’input olfattivo periferico ai neuroni che regolano il sonno. Mentre la descrizione anatomica del circuito è certamente diversa da qualunque cosa descritta negli umani, è possibile che le sue proprietà funzionali coincidano. In questo periodo di Rinascimento in neurobiologia della Drosophila, le [amate, ndr] moscerine potrebbero fornire un modello utile per studiare come l’elaborazione dell’informazione cambia durante il sonno: un campo di gioco riduzionista per studiare le basi della coscienza.
Campo di gioco riduzionista? Per fortuna è detto meglio nell’abstract: per studiare
- l’esperienza del mondo di un cervello addormentato.
Mitici Suki & Klaus!!!
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E mitico anche Giorgio, un contributo l’ha dato anche lui
https://epubs.siam.org/doi/abs/10.1137/0143037
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Beh, certo!
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