Davanti ai nostri occhi

Ieri l’Organizzazione mondiale della meteorologia ha pubblicato “The State of the Global Climate 2021”, in versione definitiva. Nel presentarlo alla stampa, il suo segretario generale e quello dell’Onu erano incavolati.

Malgrado la Niña che rinfrescava la temperatura globale, l’anno scorso ha battuto una serie di record: accumulo di calore negli oceani, acidificazione degli oceani, innalzamento del livello del mare, ondate di calore estremo, siccità, alluvioni, danni economici ($75 miliardi per il solo uragano Ida negli USA), degrado degli ecosistemi in particolare le “riserve” di acqua potabile, insicurezza alimentare, migrazioni interne causate da eventi estremi (omissis) nell’indifferenza totale dei governanti che hanno continuato a favorire i combustibili fossili e le loro emissioni di gas serra.

Ma p… miseria, ha detto il prof. Taalas del Wmo, “il clima sta cambiando davanti ai nostri occhi”. Si vede nel Corno d’Africa in preda alla siccità, nelle alluvioni letali del Sudafrica, nel calore estremo in India e in Pakistan.

Si vede anche a Milano. Stamattina sotto casa incontro uno dei pollici verdi del condominio. “Il mio termometro segna 8 gradi in più dell’anno scorso. Vent’anni fa un caldo così a maggio ci era sembrato pazzesco, adesso ci sembra normale.” Come i morti di covid ogni giorno. “E’ vero, ci stiamo abituando.”

A tenere gli occhi ben chiusi?

António Guterres dell’Onu se l’è presa con i governanti al soldo delle BigOil & Gas. Ed è anche preoccupato dall’insicurezza alimentare dovuta alla guerra in Ucraina, un paese esportatore di cereali e fertilizzanti, al riscaldamento globale e ai rifornimenti rallentati dalla pandemia, rif. il Guardian di oggi.

P… miseria bis, su Nature esce una ricerca di David Bauman et al. durata 49 anni nelle foreste tropicali del Queensland (nord dell’Australia), in 24 siti dove gli alberi – sicomori, castani, pioppi tremuli ecc. – sono molto longevi. Il tasso medio di mortalità/anno è raddoppiato negli ultimi 35 anni per colpa dello “stress idrico” crescente. E’ un effetto del riscaldamento globale, più evidente nei siti meno umidi, che

  • indica un dimezzamento potenziale dell’aspettativa di vita e del tempo di residenza del carbonio. Le perdite di biomasse associate non erano compensate dai guadagni in crescita e reclutamento.

Reclutamento? Da quello che ho capito, avviene quando vecchi alberi che hanno smesso di crescere aiutano i giovani a crescere accanto a loro anche se riducono l’umidità e i nutrienti del suolo. Fanno posto alle nuove leve, insomma. Link per non abbonati, grazie dott. Bauman, com. stampa dell’università di Oxford e news di Bianca Nogrady.

Noi delle nuove leve ce n’infischiamo e accendiamo il condizionatore?

p.s. e A.D.R.

Per i casi di vaiolo delle scimmieconfermati e sospettati” in Italia, altri paesi europei e Nord-America, per favore leggete l’articolo di Helen Branswell. Se siete preoccupat*, seguite lei e Kai Kupferschmidt invece dei soliti “allarmisti” o “rassicuristi”.

Agg. 21/5: oppure Max Kovlov, “Monkeypox goes global: why scientists are on alert” su Nature ieri e, meglio ancora, il thread di Adam Kurcharski (h/t radioprozac) chiaro come sempre.

4 pensieri riguardo “Davanti ai nostri occhi

  1. Aggiungendomi ai ringraziamenti a Bauman per la gentile concessione (senza accesso e pure senza condizionatore finché riesco ad acclimatarmi), vedo che già dal primo paragrafo cita Hubau et al. che avevo appena salvato dopo aver letto e condiviso il relativo articolo introduttivo di Anja Rammig sempre su Nature. Non c’è da essere ottimisti.

    Segnato da approfondire anche la parte di ecologia\fisiologia vegetale sul ‘reclutamento’, sempre ottimi spunti dall’OcaS. Al momento ho recuperato la figura 1.3, capitolo 1.5 (‘Carbon and sink limitations of wood formation’) della tesi di Cabon che può aiutare da prologo per il suo articolo recente. E tra le citazioni della tesi devo ancora leggere Körner, 2015 (‘Paradigm shift in plant growth control’) da cui forse si inizia ad ampliare la discussione nel merito dell’argomento. Körner citato anche da Hartmann et al. in un Commentary su New Phytologist, sempre da leggere, ma già l’immagine è un’ulteriore aiuto sulla compresione dei processi in atto per i non addetti ai lavori

    Pian piano provo a mettermi in pari, prima sui concetti anche aggiornati e poi sui numeri, epperò… ‘P…. miseria…bis’ potrei quasi considerarla un’esclamazione diminutiva (l’OcaS è ben educata), riassumiamo e mi si corregga con severità:
    – ai modelli ‘panacea climatica’ sulla riforestazione (virgolettato e dedicato nello specifico non ai ricercatori, nè alla proposta in sè in un’ottica di più azioni da intraprendere, ma alle strumentalizzazioni di terzi per i porci interessi) ci devo ancora seriamente arrivare, certo che a leggere su Science distinzioni tra GPP e NPP già inizio a chiedermi se mi imbatterò in qualche studio che parte da assunzioni troppo ‘ottimistiche’;
    – sull’allocazione del C si rimanda a Cabon e colleghi e le cose non sono così lineari tra paradigmi, processi fisiologici e fattori limitanti;
    – fattori limitanti e veri e propri tress abiotici (escludiamo pure simulazioni su quelli biotici e loro areale in base al variare della T sul ciclo vitale) che, oltre ad influire sul precedente punto, portano ad un aumento dei rischi sulla mortalità degli alberi (che di certo non se la passano bene) e conseguente riduzione complessiva sull’attività di stoccaggio della C02 proiezioni comprese. E lo stesso Bastin et al. citava potenziali perdite. Ed è qui che inizio a domandarmi se e quanto in base agli scenari climatici siamo di fronte ad un problema di acclimatazione. Ed il disastro che ne potrebbe derivare.

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    1. “mi si corregga”
      Io no! Ormai ne sa molto più di me, quando va bene leggo gli abstract dei paper in bibliografia…

      Acclimatazione” è la parola giusta, vale anche per i funghi, microbi ecc. del suolo che vivono in simbiosi con gli alberi, formano una rete di scambi alimentari, telecomunicazioni, tele-reclutamento di biodiversi, migranti stagionali e “cosmopoliti”. Altro tema affascinante se un giorno avrà voglia di “mettersi in pari”.

      Se non ricordo male, i modelli erano più ottimisti quando erano usciti i primi risultati degli esperimenti FACE circa 15 anni fa,. Poi lo sono stati gli algoritmi che interpretavano i pixel verdi delle immagini satellitarie e mostravano un greening del pianeta
      https://www.nasa.gov/feature/goddard/2016/carbon-dioxide-fertilization-greening-earth/
      paper paywalled – https://www.nature.com/articles/nclimate3004

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  2. Se non avesse messo in corsivo la frase con domanda annessa molto probabilmente non ci avrei fatto caso e di sicuro non sono in grado di leggere l’articolo di Bauman nel dettaglio.
    Un pizzico di infarinatura ancora resta sulla simbiosi delle piante, rizosfera nel complesso o magari rapporti trofici in comunità anaerobiche (AD). Ricordo che ad un esame che richiedeva una presentazione avevo portato la phytoremediation e le micorrize\PGPR (a memoria per arsenico e cadmio). Tutti concetti disgiunti perchè paradossalmente il corso di laurea non prevedeva un esame di ecologia, figuriamoci dinamiche forestali (o solo cenni di climatologia). Quanto basta per aprire con tristezza annuale il rapporto ISPRA sul consumo di suolo.

    Sono partito dalla tesi di Cabon perchè non ho riferimenti, non so quali ricercatori ci lavorano nel complesso, chi è attendibile e chi meno, la varie tappe. Richiede tempo, non conosco nessuno sul tema specifico a cui fare domande e c’è differenza tra leggere un libro ed avere quel senno dei dati di chi effettivamente ci lavora sopra ed in campo. Nel merito della produzione scientifica in generale, scherzandoci sopra, dovrei avere salvate un po’ di review sull’utilizzo di alghe e bioenergie: stesso pool di riviste, stesso argomento trattato, a breve distanza tra loro, ma con autori differenti e bibliografia differente. A proposito di alghe (e cianobatteri), c’è recente articolo di Bucci sul Foglio se le interessa.

    Quando ho letto gli articoli su Nature l’esclamazione era più ‘colorita’, ignoranza mia leggendo le citazioni che non si trattava di una novità. Avevo solo una cognizione generica sui rischi oltre ai danni per incendi spontanei e la deforestrazione per attività antropica, non su una mortalità così descritta (che non so come interpretarla nel complesso). Nell’ambito della fascia interessata mi sembra un disastro e poi sorgono appunto un po’ di quesiti:
    – sui processi di acclimatazione e adattamento e se c’è effettivamente un problema connesso alla rapidità del cambiamento che immagino influisca anche sulle presenti\future azioni di riforestazione e presevazione;
    – sui margini che si assottigliano o se sono compensati da eventuali guadagni sul sequestro di CO2 in altre zone ed in ogni caso tra i vari scenari climatici perdite\guadagni sulle forestre mi sembra sempre un danno notevole\irreparabile lato biodiversità e neppure mi domando su altre
    variabili appunto connesse all’ecologia. Mi viene alla mente anche un altro pericoloso per certi versi senso comune;
    – infine, da Cabon a Bauman percepisco che negli argomenti trattati rimane un margine di incertezza da approfondire e quanto è già stato preso in considerazione.

    In sostanza, con tutti i limiti del caso mi sembra di aprire un libro a metà con pagine parzialmente pixelate. Meglio essere bastonati per interpretazioni errate che tenersele sbagliate. Che bella la terra così verde, algoritmi fan dei Guns N’ Roses?

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    1. Se continua così le verrà un’assuefazione e dovrà trasferirsi in un bosco come Walden. O su Pandora.
      Speriamo che i danni siano riparabili e non solo per la CO2. Le piante alimentari non fanno in tempo ad adattarsi e sembra difficile modificarle geneticamente. Otto anni fa circa, in Sudafrica metà del mais resistente alla siccità regalato da Monsanto è morto prima di maturare, aveva gli stelli “fessurati” probabilmente per il caldo e durante i mesi della crescita. Dopo il governo ha detto no, grazie a tutti gli Ogm.

      Da qualche parte (Power of plant mobility?) Darwin diceva che le piante rampicanti hanno il vantaggio della mobilità, mentre gli alberi hanno evoluto altri modi per vivere per secoli radicati nello stesso posto. Però faceva notare che certe specie di alberi si ritrovavano lontano dal luogo di origine, dovevano essere mobili anche loro. Era stato criticato, all’epoca il senso comune era che ciascuna aveva una sua nicchia e pochi individui crescevano oltre il confine.

      “margini d’incertezza”: sembrano contagiosi, più interazioni si studiano più aumentano. E lei potrebbe aver ragione per gli algoritmi, in Paradise city è tutto verde…

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