Gli aruspici

“Il ritorno della frenologia alla grande! Roba da far rivoltare nella tomba Stephen Jay Gould,” dice un amico a proposito di Hyeokmoon Kweon et al.,

Calcante legge il futuro in un fegato, Museo del Vaticano/dominio pubblico

Lo immagino mentre legge e impreca in crescendo. Conosce bene i lavori di Gould, in particolare “I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss“, il saggio scritto insieme a Richard Lewontin. Il quale si rivolta pure lui quale autore di “Biologia come ideologia” (Bollati Boringhieri, un classico).

I pennacchi sotto la cupola di San Marco

Gli autori, inquadrati da due neuro-economisti, partono dall’assunto che il volume del cervello (TIV, il volume intercraniale totale) e quello della materia grigia in alcune aree riflettono lo status socio-economico di una persona, e che il volume di altre aree è dovuto a fattori genetici. Ne cercano la conferma nei voxel (i pixel del neuro-imaging) di immagini del cervello – senza dire se e come ne è stata controllata la qualità – e nel genoma di 20.799 persone con ascendenti europei, età media 62 anni, 62,7% donne e tutt* in buona salute.

Correlano le differenze statistiche nella densità dei voxel ai geni o allo status sociale usando un punteggio poligenico tratto dagli inaffidabili “studi di associazione nell’intero genoma” (Genome-Wide Association Studies , GWAS). Quel punteggio è correlato a sua volta agli “indicatori” del loro punteggio socio-economico: educazione, lavoro, retribuzione (neanche una casalinga su 12 mila donne?), qualità del luogo di residenza ecc.

Per sicurezza, gli autori correlano anche le proprie mappe cerebrali a 492 “concetti” di neuroscienze cognitive, associati alle funzioni di determinate aree cerebrali nelle mappe del Cognitive Atlas.

E’ un’apoteosi di pennacchi.

Ottengono così un Himalaya di covarianze che setacciano con tre tipi di analisi delle componenti principali per identificare le correlazioni più robuste. Siccome le correlazioni sono circolari, scoprono esattamente quello che avevano postulato: una correlazione positiva tra l’educazione, il lavoro e la sua retribuzione – anche se capita che gente con un alto livello di educazione guadagni poco o abiti in un quartiere povero – il volume intercraniale totale e quello di molte aree cerebrali, cioè di

  • piccole fonti di variazioni strutturali che sono diffuse nell’intero cervello.

Non ho capito il passaggio statistico che traduce i volumi della materia grigia nelle sue “strutture” che magari sono dei pennacchi, dei sottoprodotti di strutture portanti…

Comunque le rimanenti variazioni sono correlate alla frequenza di certi SNP (single nucleotide polymorphisms), cioè a differenze genetiche statisticamente “significative”.

  • Il ruolo dei geni e dell’ambiente in vari esiti associati allo status socio-economico è stato dibattuto per decenni e ha suscitato controversie in parte a causa di implicazioni per la policy che venivano percepite, nota 14.

La nota 14 rimanda al saggio razzista di Herrnstein e Murray, The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life. Per evitare percezioni errate nel caso qualcuno si chiedesse come mai hanno selezionato i cervelli di persone dagli ascendenti europei, gli autori precisano:

  • I nostri risultati implicano che fattori biologici e sociali contribuiscono entrambi alle disparità neurali e che gli interventi di policy possono influenzare e interagire con fattori biologici. Mentre sarebbe prematuro basare interventi specifici sui nostri risultati, future ricerche in tale direzione potrebbero fornire suggerimenti [insights] che si possono tradurre in interventi mirati.

Da un lato, l’insieme sembra un fulgido esempio di mathturbation per dirla con Tamino che di statistica se n’intende; dall’altro di “Voodoo correlations in social neuroscience“, per dirla con Edward Vul et al. e con Edward Vul tout court.

*

Ho aperto Nature, ho visto

e per oggi mi è bastato.

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