Mettiamo che

i clorofluorocarburi e altri gas che distruggono l’ozono in alta quota non fossero stati eliminati dal 1989 in poi. Cosa sarebbe successo? Risposta su Nature nel paper di Paul Young et al. “The Montreal Protocol protects the terrestrial carbon sink“.

Immagine NASA da “A World Without The Montreal Protocol“, 22 settembre 2011

Young et al. hanno costruito un modello “What if…?” che ne coniuga quattro e le rispettive proiezioni a fine secolo:

  • distruzione dell’ozono dovuto all’uso crescente di CFC come prima del 1989;
  • effetto della radiazione ultravioletta sempre meno intercettata da uno strato d’ozono sempre più striminzito sulla crescita della vegetazione;
  • ciclo del carbonio;
  • riscaldamento globale dovuto al potente effetto serra dei CFC.

Succede un macello.

Prima scompare lo strato d’ozono sopra l’Antartide, poi s’assottiglia sopra le zone temperate (gli autori non simulano l’andamento dei tumori), a fine secolo fra i Tropici ne rimane meno della metà, e s’è ridotta anche la vegetazione.

Morale:

  • senza il Protocollo di Montreal, a fine secolo (2080-2099) ci sarebbero state 325–690 miliardi di tonnellate di carbonio in meno nelle piante e nei suoli… Questo cambiamento sarebbe risultato in altre 115-235 ppm di CO2 atmosferica, le quali avrebbero aumentato il riscaldamento della temperatura media globale alla superficie di 0,50–1,0 °C.

Un aumento da sommare all’1,7 °C dovuto ai CFC. (Ho semplificato, scrivono “potrebbero esserci state”, “potrebbe esser risultato” ecc. ).

Le incertezze sono notevoli come si vede, ma è il primo modello del genere e gli autori ne descrivono i limiti. Comunque sembrano abbastanza sicuri di sé: i dati sottostanti sono pubblici, il paper è aperto ai commenti e la peer-review – durata quasi un anno – è disponibile su richiesta.

Mettiamo che Sherry Rowland e Mario Molina, diffamati anche loro dai mercanti di dubbi, fossero ancora vivi…

Marco Balzarini segna un articolo, in italiano, della Technology Review che prende spunto dal paper di Paul Young et al. per auspicare un “nuovo Protocollo di Montreal” per la riduzione dei gas serra.

Geni ursini e lingue indigene

In effetti “Convergent geographic patterns between grizzly bear population genetic structure and Indigenous language groups in coastal British Columbia, Canada” è un paper sorprendente.

Certo, con un po’ di destrezza statistica su una mappa si può sovrapporre di tutto. In questo caso, un gruppo di grizzly imparentati è geneticamente più simile di due gruppi geograficamente distanti, così come lo sono le tre famiglie linguistiche dei gruppi umani che sulla mappa condividono gli stessi ambienti.

Senza flussi migratori a portare geni e parole nuove, come scriveva Luigi Luca Cavalli Sforza in Geni, popoli e lingue, la convergenza della distanza genetica e linguistica sembra plausibile. Conviene leggere anche la “Discussione” sui limiti dello studio, i campioni sono pochi…

*

I tweet di tonyscalari che ieri abbattevano le bufale di F. Battaglia sono diventati un articolo da tenere nella cerbottana per quando un negaiolo capita a tiro.

2 pensieri riguardo “Mettiamo che

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