Giorni di festa

Ieri l’Organizzazione mondiale per la sanità ha raccomandato il vaccino pediatrico Mosquirix della GSK-PATH contro la malaria da P. falciparum. Il primo sviluppato in trent’anni di tentativi e nonostante un secolo di fallimenti.

A fine agosto, era già più della promessa fatta sei anni fa. Ma per realizzarla, le 4 dosi “stagionali” andranno somministrate nei paesi dell’Africa subsahariana con un tasso di infezione “moderato ed elevato”, quasi tutti senza una sanità funzionante.

E’ fattibile. In Kenya, Ghana, Burkina Faso, Mali e Malawi, 800 mila bambini sono stati vaccinati a ripetizione perfino durante la pandemia, grazie a una collaborazione interafricana e internazionale, e a finanziamenti senza precedenti.

Adesso, scrive l’Oms, spetta

  • alla comunità della sanità globale decidere di finanziare un dispiegamento più ampio del vaccino e a ogni paese di adottarlo come parte delle strategie nazionali per il controllo della malaria.

“Parte delle strategie” perché da solo riduce i ricoveri e i decessi per malaria grave del 30%, va pertanto aggiunto alle zanzariere, agli insetticidi e altre forme di controllo.

L’esperienza dei vaccini anti-covid non sembra incoraggiante.

Agg. 11/10 – sui problemi legati alla somministrazione del Mosquirix, rif. anche Amy Maxmen su Nature.

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Dopo mezzo secolo di fallimenti, un farmaco potrebbe curare la dengue, altra febbre tropicale portata dalle zanzare per la quale non esiste un vaccino. Stando agli esperimenti pubblicati su Nature da Johan Nyets et al. del Global virus network, in vitro e nei topi blocca la riproduzione di tutti i ceppi – noti finora – dei quattro virus.

E’ efficace solo all’inizio dell’infezione, almeno alle dosi adatte ai topi, forse potrebbe essere una profilassi. A Dennis Normile di Science, Nyets dice che c’è già un trial in corso e che presenterà risultati preliminari a un convegno del mese prossimo.

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E’ solo un preprint, ma sembra che i filtri dell’aria Hepa a raggi UV già in uso in alcuni ospedali rimuovano il Sars-Cov-2 e altri “bioaerosol” patogeni come lo streptococco aureo. Rif. anche Tosin Thompson su Nature.

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“Data-base hugging disorder”

Sempre su Nature, c’è un bell’articolo di Helen Richtie che dirige le ricerche di Our World in Data, un’Ong che sfruttiamo tutti dall’inizio della pandemia:

  • Ogni giorno ricevo mail da decisori politici, investitori, ricercatori e giornalisti che mi chiedono dati su altre questioni – l’energia o gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile, per dire – che sono impossibili da trovare. Invece di lasciare questo lavoro a dei volontari, le istituzioni globali dovrebbero mobilitare i fondi e le competenze per raccogliere dati cruciali e renderne obbligatoria la pubblicazione.

Preach, sister… Nelle istituzioni globali la Cina non è l’unica a soffrire di “data-base hugging”.

Anche Giorgio Parisi parla di open data nell’intervista di Andrea Capocci sul manifesto.

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