(O’s digest sotto il compito condominiale.) In altri paesi vaccinano già contro il covid i bambini tra 5 e 11 anni, a giorni ci sarà il parere dell’Agenzia europea del farmaco, alcuni genitori “non vedono l’ora”. A scuola “aumentano i contagi” – DaD no grazie! – e se fosse favorevole si sentirebbero più tranquilli. Però…
Due mesi fa gli esperti lo raccomandavano solo per i 12-15enni fragili. Non solo hanno cambiato idea, ma sono divisi tra chi dice di vaccinare tutti i 5-11enni, chi di vaccinare solo i fragili e chi di aspettare.
Avete sentito la pediatra? “Non ancora, lei cosa dice?” Magari per quegli esperti sono più urgenti i vaccini per i paesi poveri. “No, no. Maurizio Bonati ha detto che i dati americani sono insufficienti. Anche a Radio popolare.”
Bonati diceva che nel contesto italiano non è così urgente, si possono aspettare quelli che arriveranno tra poco da Israele, Canada, Cuba e USA. Ha ragione e radiopop pure.
In USA bisognava far in fretta. Molti ospedali sono di nuovo “saturi”, molti più adulti non sono vaccinati né intendono farsi vaccinare. Quando Bonatti è stato intervistato non era ancora uscito l’editoriale di Jeffrey Gerber e Paul Offit su Science:
- Quando il Sars-CoV-2 è arrivato negli Stati Uniti all’inizio del 2020, i bambini erano meno del 3% dei casi [di infezione]; oggi sono oltre il 25%. Dei 6 milioni che si sono infettati, 2 milioni avevano tra 5 e 11 anni. Delle decine di migliaia di ricoverati, un terzo non aveva altre patologie […] Quasi 700 sono morti di Covid-19, che risulta una delle prime dieci cause di morte per i bambini americani. Nessuno è morto per la vaccinazione [con il vaccino Pfizer].
(Nei trial con Pfizer, sono stati vaccinati 1.518 bambini di meno di 12 anni, 1.131 “adolescenti” di 12-15 anni, e >mille 16-18enni nel caso della dose per adulti – in inglese, se si sommano le tre fasce di età si usa “children”.)
I dati di Gerber e Offit non erano aggiornati: nella settimana fino all’11 novembre in USA i minorenni (il 22% della popolazione) erano il 27% dei casi, da settembre in media 100 mila ogni settimana. Dall’inizio della pandemia, rappresentano da 0 a 0,25% dei decessi (sei stati non hanno comunicato alcun decesso).
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O’s digest

Su Science oltre all’editoriale
- sempre sulla breccia Harold Varmus, con scienziati meno famosi, chiede che una commissione nominata dal Congresso esamini la gestione del covid, simile a quella bi-partisan dopo l’uragano Katrina;
- due paper anticipati online il mese scorso, che non li avevo letto: Samuel Brand et al., sulle cause della trasmissione delle “ondate” di covid in Kenya; Mahresh Dahr et al., sull’emergenza della variante delta a Delhi, India;
- il gruppo di Jennifer Doudna – Nobel per la tecnologia Crispr-Cas – propone un modello che usa particelle virali “sintetiche” (bio-computing) per prevedere le mutazioni del Sars-CoV-2, non solo della proteina Spike (lo sto ancora studiando);
- Michael Worobey collega i primi casi di covid negli ospedali di Wuhan alla vendita di animali nel mercato Huanan; (vedi sotto Proceedings of the Royal Society);
- Diete anti-età: molto fumo, niente arrosto, rassegna della letteratura di Mitchell Lee et al.;
- Paul Voosen, sulle ricerche che collegano il fumo degli incendi siberiani all’erosione dello strato d’ozono in stratosfera;
- John Hawks da solo e Andrea Piccin et al. contestano le interpretazioni di Alan Cooper et al. secondo cui un indebolimento del campo geo-magnetico 42 mila anni fa avrebbe causato una mega-crisi ambientale (sembravano un po’ tirate per i capelli anche a me);
- Vittima di “un nuovo e misterioso parassita”, il protozoo Haplosporidium pinnae, scrive Erik Stokstad, la nacchera o cozza mediterranea Pinna nobilis – già malridotta dall’inquinamento – rischia l’estinzione. Ma un consorzio europeo e uno italiano stanno studiando come salvarla…
Proc. Royal Society B
Barbara Han e il suo gruppo hanno cercato quali specie animali avevano anch’esse sulle cellule un ricettore ACE2 per la proteina Spike. Quando il ricettore non era descritto nei database, hanno ricostruito quali erano le più probabili dalle parentele filogenetiche, dalle condizioni bio-fisiologiche – dieta e metabolismo, per es. – e da quelle ecologiche/geografiche documentate nelle collezioni dei musei di storia naturale, il tutto filtrato e assemblato con il machine-learning.
Nei database hanno trovato 326 specie che
- in maggioranza appartengono alle classi Actinopterygii (pesci ossei, 22,1%), Aves (23,3%) e Mammalia (46,6%)
Con modelli in silico stimano che le specie di mammiferi siano oltre 5 mila e le suddividono in selvatiche, allevate/addomesticate, cacciate, roditori e pipistrelli. Nella seconda categoria, il mammifero più zoonotico è il bufalo Bubalis bubalis, seguito da
- visone americano (Neovison vison), volpe rossa (Vulpes vulpes), cervo sika (Cervus nippon), pecari (Tayassu pecari), antilope azzurra (Boselaphus tragocamelus) e procione (Nyctereutes procyonoides).
I primati e i carnivori selvatici – o negli zoo – lo sono tutti, ma il gatto domestico poco o per niente. (h/t The Economist – “cats” sono i felini in generale)
Per oggi basta, paper su clima e dintorni domani.