Dalla parte delle zebre

O’s digest su clima e affini. Il 1 gennaio 2015, usciva “The Serengeti strategy“, un’ipotesi di Michael Mann. Quando un consenso scientifico dà fastidio, scriveva, i suoi critici “lo presentano come se tutto il sapere accumulato da una disciplina dipendesse dal lavoro di un singolo scienziato“.

Non tentano più di discreditare la climatologia, mettiamo, ma imitano i leoni della savana: attaccano la zebra ai margini del branco. Per esempio il più giovane dei ricercatori che avevano ricostruito le temperature dell’ultimo millennio nell’emisfero nord

Hockey Stick
Michael Mann, Raymond Bradley e Malcom Hughes, “Northern hemisphere temperatures during the past millennium: Inferences, uncertainties, and limitations”, Geophysical Research Letters, 15 marzo 1999.

Era successo anche a Ben Santer e a James Hansen, ma gli aneddoti non sono dati. L’ipotesi è confermata solo in parte.

Con un sistema di machine learning, John Cook e tre colleghi hanno identificato e creato una “tassonomia” degli argomenti negazionisti (“contrarian”) negli ultimi vent’anni. I siti di istituti, fondazioni e think tank, i blog e i social pro-riscaldamento globale, acidificazione degli oceani ed eventi meteo estremi

  • si sono concentrati nell’attaccare l’integrità della scienza e degli scienziati del clima e, sempre di più, gli interventi a favore del clima e delle energie rinnovabili.
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Evoluzione dei temi

Gli attacchi a singoli scienziati s’impennano dopo il furto delle mail della Climate Research Unit all’università dell’East Anglia prima della Cop di Copenaghen nel 2009. Poi prendono il relè scenari complottisti e catastrofisti. Come il covid e i vaccini, i cambiamenti climatici e i limiti alle emissioni di gas serra sono un complotto mondiale per toglierci la libertà, rovesciare governi, distruggere l’economia.

Con lo stesso sistema, John Cook et al.

  • hanno rintracciato l’influenza dei fondi di industrie e fondazioni nella produzione e la disseminazione di specifici argomenti negazionisti.

Queste sono libertà che non si toccano.

Sui PNAS, Drew Shindell et al. pubblicano in open access “Temporal and spatial distribution of health, labor, and crop benefits of climate change mitigation in the United States”:

  • Specificamente, i benefici dell’aria pulita eccedono i costi della mitigazione nel primo decennio, mentre i benefici climatici eccedono i costi nella seconda metà del secolo.

Una conferma locale, più particolareggiata, dei risultati del gruppo di Joeri Rogelij sui costi macro-economici della mitigazione, che erano usciti su Nature Climate Science. (Credo di averlo già segnalato, bello e in open access.)

Da abbinare a Cassandra Rogers et al. – già segnalato, se non ricordo male – “Six-fold increase in historical Northern Hemisphere concurrent large heatwaves driven by warming and changing atmospheric circulations”.

Sempre su Nature Climate Change (lettura gratis per adesso) Glen Peters e molti altri del gruppo “Paris Reinforce”-CICERO, usano sette modelli diversi per valutarne altri: quelli delle “traiettorie delle emissioni di CO2” derivate dagli “sforzi di mitigazione a breve [2030]” e le loro proiezioni fino al 2050. Primo, l’effetto stimato sull’aumento della temperatura è ottimista eppure risulta da +2,2 a 2,9 °C, altro che Accordo di Parigi. Secondo,

  • la pratica abituale di usare un prezzo del carbonio per l’intera economia per rappresentare gli interventi [policy], esagera l’uso della cattura e stoccaggio del carbonio

rispetto agli effetti degli interventi esplicitati. Se la lettura è tornata a pagamento, c’è un buon sunto aggiornato al dopo-Glasgow sul sito di CICERO.

Anche i benefici climatici dell’idrogeno “blu” (i.e. da metano) e “verde” (da rinnovabili) sono esagerati. Nemmeno con un’eroica cattura del carbonio, la loro produzione può arrivare a “net zero”, scrivono Christian Bauer et al. in “On the climate impacts of blue hydrogen” su Sustainable Energy and Fuels.

In tema

Le riviste specializzate in energia pulita, transizione, risparmio energetico ecc. si moltiplicano, non riesco a seguirle. Per caso sono capitata su Donal Brook et al. che “concettualizzano” il consumo energetico casalingo la cui riduzione contrasta con gli interessi dei servizi che la erogano.

L’analisi è convincente e le 13 raccomandazioni sensate, trovo, ma non sono mica l’Enel…

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