La settimana scorsa, la temperatura superava di 40 °C la media di fine estate in alcuni altipiani (attorno ai 3000 metri) dell’Antartide, e di 20-30 °C quella di fine inverno nel circolo polare artico: in Norvegia, in Groenlandia e nella Terra di Francesco Giuseppe, l’arcipelago russo nel mare di Barents.
Da questo week-end le temperature sono tornate quasi normali (3-4 °C più del solito) ma ondate di calore su entrambi i poli sono “senza precedenti”. E “preoccupanti”, dicono Michael Mann e Jim Hansen a Fiona Harvey, del Guardian.
Due eventi meteo estremi non fanno primavera, avvertiva Zeke Hausfather su Nature dell’altra settimana, a proposito del declino record della banchisa antartica ai minimi da quando i satelliti la misurano. Magari il minimo record di quest’anno è tutta variabilità naturale, oppure l’inizio di un calo come quello che si osserva nell’Artico da 50 anni.
Dal canto suo, la calotta glaciale antartica ruscella in mare con una regolarità pari a quella groenlandese. Al posto di Jim Hansen mi lasciavo scappare un “ve l’avevo detto io.”
Nel 2011-2020 la banchisa artica ha perso il 13% del suo volume rispetto alla media 1981-2010, ma il 12,5% tra il 2018 e il 2021. Sta diventando una sottiletta. C’è stata un’accelerazione, insieme a una maggior frequenza e lunghezza delle ondate di calore – e degli incendi – nel circolo polare artico.
Quanto sopra a gentile richiesta di insegnanti Fridays4Future.
Mentre c’ero, ho dato un’occhiata a Nature Climate Change di marzo dove noi pensionati dei paesi ricchi siamo accusati dall’editoriale e da un paper (a pagamento, com. stampa) di emettere quantità pazzesche di CO2: quasi un terzo del totale è colpa dei nostri consumi.
Iiiiio? Che ci ho solo la bici, niente lavatrice e neanche la tv!?!

In USA e in Europa facciamo progressi, ma pochi e lenti.
Per amore dei pargoli o calo della produttività o incentivi meno perversi, gli ultrasettantenni potrebbero invece contribuire allo “zero netto” delle emissioni entro il 2050, scrive Juudit Ottelin – link gratis – pur aumentando di numero.
Rif. anche questo “commentary” dell’IEA.
La foto in copertina è sulla tubercolosi causata dal caldo estremo ai deliziosi suricati del Kalahari, ma il titolo “Gli estremi aumentano il rischio di malattie” riguarda anche i bambini sotto i 5 anni. Sono a maggior rischio di tosse, febbri, diarree dovute a precipitazioni e siccità estreme in 32 paesi poveri dalla A come Albania alla Z come Zimbabwe, stando all’esito deprimente di una ricerca uscita sul Lancet Planetary Health.
Stando alla metanalisi – in open access – di Magnus Bergquist et al., in 33 democrazie benestanti, i cittadini sono disposti ad accettare tasse e leggi destinate a “mitigare il cambiamento climatico”, i.e. ridurre le emissioni, a condizione che siano innanzitutto eque ed efficaci.
E da Carbon Brief, Joeri Rogelj (di cui tendo a fidarmi) et al. (che non conosco) spiegano perché i modelli economici citati finora dai rapporti IPCC sovrastimano i costi della mitigazione.
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Alla gentile richiesta “E il covid?” rispondo domani se riesco.
L’ha ripubblicato su comma22corpus.
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