E’ una provocazione? In mezzo a ondate di calore estremo che spaziano dal Marocco al nord della Cina, Nature pubblica il commento di Zeke Hausfather e altri climatologi, tra i quali Kate Marvel e Gavin Schmidt, sul “problema dei modelli caldi”:
- Il sesto e ultimo rapporto Ipcc pesa i modelli in base alla loro capacità di riprodurre altre evidenze. Ora deve farlo anche la comunità scientifica.
(Altre evidenze sta per “osservazioni storiche” e paleoclimatiche. Chi legge Real Climate sa già tutto. Per le ondate di calore estremo nell’America del nord-ovest, rif. Vikki Thompson et al. ieri su Science Advances e Carbon Brief.)
Per risolvere il problema della “coda” troppo calda in certi modelli dell’insieme CMIP6 che esagerano il riscaldamento globale, gli autori raccomandano i metodi statistici usati dagli autori del VI rapporto Ipcc e il loro “emulatore”, un modello semplificato. Però hanno un difetto: producono solo “cambiamenti globali in media annua”.
- I ricercatori che vogliono studiare impatti climatici regionali, estremi giornalieri e altre variabili climatiche hanno dovuto scegliere una propria strada.
Stanno scegliendo la democrazia:
- Democracy in general is good. But not for climate models! #modeldemocracymustdie
Una proiezione un voto, e vinca quella che ne prende di più come ai tempi dell’insieme CMIP5, più realistico per quanto riguarda l’andamento della temperatura e l’innalzamento del livello del mare.
Qui salta fuori un altro problema, secondo me. O il vol. 1 del VI rapporto non è stato letto dagli addetti ai lavori, oppure i suoi autori non hanno spiegato bene perché hanno preferito la meritocrazia.
Comunque hanno creato un Atlante interattivo, un emulatore regionale che semplifica la vita e la matematica. A questo punto non resta che scegliere il sotto-insieme dei modelli CMIP6 più “vincolato” dalle evidenze e da una sensibilità plausibile del clima all’equilibro (ESC) in funzione del cambiamento locale che si vuole simulare: precipitazioni, eventi estremi o altre variazioni.
Tweet riassuntivi di Zeke Hausfather e Gavin Schmidt; articolo divulgativo dei cinque autori su Carbon Brief con esempi di proiezioni “too hot too fast”; recensione di Paul Voosen su Science.

Stando al modello di Florian Humpenöder et al. del PIK, se entro il 2050 sostituiamo il 20% della carne bovina con l’equivalente in “proteine micobiotiche” (dette anche microbiche, sono quelle ottenute con lievito di birra e simili nei bioreattori), possiamo dimezzare la deforestazione, le sue emissioni di CO2 oltre a quelle del metano e dei NOx emessi dagli allevamenti. Con margini d’incertezza anche per via di diversità di suoli, risorse idriche, allevamenti o pastorizia, diete e gusti, demografia ecc. Peccato che non sia in open access…
Nella presentazione di Giorgia Guglielmi, Franziska Gaupp che al PIK si occupa di modelli climatici spera che si applichi lo stesso modello alla carne cresciuta in laboratorio o derivata da proteine vegetali.
Com. stampa del PIK, articoli sul Guardian, Washington Post, in italiano Greenreport e molti altri probabilmente.
Sempre su Nature e in tema, un editoriale parte dal Global Land Outlook 2022 per dare consigli ai delegati dei paesi membri della convenzione Onu contro la desertificazione (la Cop15 dell’Unccd) che s’incontrano ad Abidjan dal 9 al 21 maggio. E’ piuttosto scettico sull’efficacia dei finanziamenti francesi e tedeschi destinati alla Grande Muraglia Verde, la striscia di foreste larga 16 km che dovrebbe attraversare l’Africa da una parte all’altra del Sahel.
Due anni fa, esperti dell’Onu avevano raccomandato di creare un fondo unico al quale contribuivano i donatori che poi stabilivano le priorità insieme all’apposita Agenzia panafricana. Non è successo. E’ stato ignorato anche il paper di Matthew Turner et al. su come misurare progressi e fallimenti.
- La Grande Muraglia Verde ha bisogno di criteri di valutazione che tengano conto dei bisogni di tutti, nei paesi partecipanti, in particolare dei più vulnerabili.
Preach, bro.
Altra coincidenza, oggi Cynthia Rosenzweig dell’università Columbia e del gruppo Climate Impacts al Giss-Nasa ha ricevuto il World Food Prize per le sue ricerche (modelli principalmente) su clima e risorse alimentari.