Con un po’ di se e di fortuna

In mezzo alla strage di uccelli e mammiferi causata dalla nuova pandemia di influenza aviaria, cerco notizie meno tristi e sui PNAS ne trovo una, piccola ma riconforta un po’, trovo.

Premessa: le barriere coralline sono state devastate dal Niño del 1998 e di più dal doppio Niño del 2015-2016. Quello dopo è stato modesto ed è prevalsa la Niña. Ana Palacio-Castro della NOAA e colleghi hanno passato in rassegna in 40 anni di osservazioni delle barriere coralline nel Pacifico tropico-orientale (ETP) per vedere quali avevano resistito allo shock termico del 2015-2016. Ne hanno scoperto uno: la Pocillopora di tipo 1. L’altra (tipo 3) non s’è ripresa dallo sbiancamento.

Grande barriera corallina, Australia, 2002, foto Cookaa per Wikimedia

Con una serie di sequenziamenti per identificare i geni delle proteine anti-stress termico delle loro alghe simbionti raccolte tra il 2014 e il 2016, sono risaliti al motivo della differenza. Durante quel Niño tremendo, la P. tipo 1 aveva acquisito una grande concentrazione di Durusdinium glynni, un’alga molto “termo-tollerante”.

Come ci era riuscita e la P. tipo 3 poco distante no?

Ancora non si sa.

In compenso si sa che senza un taglio rapido alle emissioni di gas serra la temperatura dell’ETP nel 2015-2016 sarà quella dell’intero Pacifico fra i tropici nel 2060 circa. Addio Grande barriera corallina. Addio turismo (e commercio di pesci tropicali) in decine di paesi ben più poveri dell’Australia.

Alcuni esperimenti per ricostruire le barriere devastate sembrano funzionare, ma non hanno né i colori né la biodiversità di quelle naturali. Adesso che esiste un metodo per abbinare una sottospecie corallina ai suoi simbionti termo-tolleranti, si può ripetere l’analisi genetica di Palacio-Castro et al. e usarne i risultati invece di andare per tentativi ed errori.

Se il Niño non durasse più di due anni… Se ci fossero dati, scienziati, laboratori e fondi necessari… Gli autori sembrano dubitarne:

  • Anche se le barriere a bassa diversità e fitta copertura dell’ETP potrebbero illustrare un potenziale stato funzionale per alcune barriere nel futuro, se le emissioni di gas serra e il conseguente riscaldamento globale non verranno ridotti questo stato potrebbe essere solo temporaneo.

Non in open access, ma com. stampa ben fatto dell’univ. di Miami con in cima una foto della “bassa diversità”.

Buco nero nella galassia ellittica Messier,87, immagine ESO

Da una settimana la comunità astrofisica è in agitazione per via di altri se. Un manipolo di temerari capeggiato da Duncan Farrah ha lanciato due ipotesi concatenate;

  • A Preferential Growth Channel for Supermassive Black Holes in Elliptical Galaxies at z ≲ 2, Astrophysical Journal, 2 febbraio
  • Observational Evidence for Cosmological Coupling of Black Holes and its Implications for an Astrophysical Source of Dark Energy, Astrophysical Journal Letters, 15 febbraio

Se viene confermato da stime non solo per le galassie ellittiche che la massa dei buchi neri aumenta di pari passo con l’espansione dell’universo, sarà una conferma quantitativa sebbene ancora incerta della relatività generale di Einstein. Fin qui tutto bene.

Ma se i buchi neri rappresentano meno del 5% della materia normale e son fatti di energia oscura che rappresenta circa il 70% di quella presente nell’universo…

Scusate, ma E = mc2 sarebbe da buttare?

Paper in open access e fuori dalla mia portata, le appendici in particolare. Su Science, Adam Mann li riassume e cita reazioni da educate scettiche. Lascia l’ultima parola a Niayesh Afshordi del Perimeter Institute for Theoretical Physics, che ha parecchi dubbi ma è “excited”:

“La maggior parte delle nuove idee teoriche vengono scartate dallo scetticismo”, dice. “Ma se scartiamo tutte le nuove idee, non resterà più nulla”.

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