Clima e dintorni

Niente post da dieci giorni, dev’essere il mio record di assenteismo. In compenso: una gatta da intrattenere riconsegnata ieri sera al suo badante, riunioni via zoom, giri in bici in una Milano fiorita e soleggiata, una panne informatica riparata stamattina… e troppe distrazioni su Twitter.

Distrazioni per modo di dire come passo a dimostrare in un’O’s digest quasi monotematico. (As usual, quando i paper non sono in open access, rimando a sunti affidabili e gratis.)

Future warming from global food consumption“,

di Casey Ivanovich et al., Nature Climate Change. Il risultato è nella fig. 1 che però ha dietro un gigantesco data-base con le emissioni climalteranti lungo la filiera alimentare mondiale, le variazioni e proiezioni da qui a fine secolo per demografia, adozione di pratiche sostenibili, sviluppo e costi dei fossili, cambiamenti economici e culturali delle diete… e rispettive incertezze. Per dire, l’aumento tendenziale della popolazione resterà davvero costante fino al 2100?

Salvo innovazioni, il settore alimentare aggiungerà circa 1 °C alla temperatura media globale. Un bel lavoro, utile per le Ong perché indica pure dov’è possibile ridurre le emissioni senza far danni. Editoriale sulle soluzioni.

West Nile, Lyme, and other diseases are on the rise with climate change. Experts warn the U.S. is not prepared“,

di Sara van Note, StatNews. In USA sono in aumento i casi di infezioni tramesse da zecche e insetti, tipiche dei paesi caldi, ma i governi statali e federali non hanno né sistema di monitoraggio dei casi, né piani limitarne la diffusione. E mancano i fondi per le ricerche su test diagnostici e protocolli terapeutici.

Da quanto ne so, i paesi UE non sono messi meglio.

The carbon sink of secondary and degraded humid tropical forests“,

di Viola Heinrich et al., Nature. I ricercatori del TREES Research Lab brasiliano e collaboratori in vari posti del mondo hanno osservato dal 1985 al 2018 la ricrescita di foreste “degradate” in Amazzonia, Borneo e Africa centro-occidentale per vedere in quanto tempo si riprendevano e stimare con un modello quanto carbonio assorbivano.

Nel Borneo dove la loro distruzione rilasciava più carbonio, ricrescevano più velocemente e nell’insieme compensavano solo un quarto delle emissioni del proprio degrado. Ma se si riuscisse a tutelarle e a salvare le foreste ancora integre…

Un po’ tecnico e per abbonati, sunto nel thread di Viola Heinrich.

Climate Change Indicators: Radiative forcing,

Environm. Prot. Agency, USA. I dati riguardano il periodo 1750-2019 e sono usciti l’anno scorso, credo, ma non li avevo visti fino al thread in cui Leon Simons ha fatto un po’ di conti.

I gas serra hanno aggiunto circa 4 Watt/m2 e l’uso del suolo ha fatto calare l’albedo di -0.2 W/m2

Un calo dovuto anche a fusione dei ghiacci e minor superficie innevata.

Solo negli ultimi 20 anni la quantità di luce solare riflessa è diminuita dello 0,5% [corrispondente] a 1,5 Watt per ogni m2 della superficie terrestre.

A differenza delle foreste tropicali, l’albedo non si riprende dal degrado.

Regime shift in Arctic Ocean sea ice thickness“,

di Hiroshi Sumata et al., Nature. Dal monitoraggio della banchisa artica negli ultimi 30 anni, salta fuori che nel 2005 estensione e spessore sono diminuiti bruscamente, ma che il 2007 è stato l’anno del cambiamento di regime: da allora, anche tenuto conto della variabilità annuale, sono sempre rimasti inferiori all’andamento medio precedente. Paper molto cauto, ma ho l’impressione che, per gli autori, la banchisa artica abbia superato un “tipping point”.

Dwarfism and gigantism drive human-mediated extinctions on islands“,

di Roberto Rozzi et al, Science, è per soli abbonati. Peccato, tolte le sezioni toste è davvero un viaggio nel tempo fra le “meraviglie dell’evoluzione” degli animali che le cui dimensioni erano adatte a quelle delle isole dov’eran finiti, prima che arrivasse l’Homo sapiens. Ottimo thread del primo autore con in più foto – anche di un animale superstite – e una citazione di Darwin che nel paper non ci sono (un buon esempio di comunicazione della scienza, trovo).

Deep-sea impacts of climate interventions,”

di Lisa Levin et al. sulle “manipolazioni dei fondali marini”

Sta accelerando lo sviluppo di interventi climatici negli oceani, per rimuovere e sequestrare la CO2 gestire la radiazione solare o produrre energia rinnovabile

senza tener conto dei rischi e dei danni più probabili a ecosistemi che già se la passano male. Nel caso l’articolo non sia più gratis, c’è una protesta molto simile sul sito della Deep Ocean Stewardship Initiative con cui alcuni autori collaborano.

Con gli short di Leonid Schneider terminavo le letture scientifiche della settimana e come tutti aspettavo l’uscita del – rullo di tamburi

Summary for Policymakers of the Synthesis Report for the 6th Assessment Report of the IPCC

e contorno di bigino per j cronisti e figure a parte.

Ri-rullo.

La sintesi vera e propria comprenderà sintesi dei sei rapporti di valutazione precedenti. Per ora c’è un iper-condensato delle conoscenze acquisite e delle loro implicazioni per la specie H. sapiens e il suo habitat, con rimandi ai condensati futuri.

Le implicazioni sono facili da riassumere: “datevi una mossa, branco di [inserire epiteto a scelta]!” Le conoscenze, gli scenari, le soluzioni sono familiari a chi legge l’oca s. Comunque trova i punti-chiave e prime reazioni da Valigia blu.

Lunedì voci di corridoio alludevano a risse fra i delegati, che rischiavano di far slittare la conferenza stampa di presentazione. Eppure il Sommario per decisori politici (36 pagine in Times New Roman microscopico, maledetti), mi sembra un filino meno diplomatico del solito: i grafici mostrano a che punto hanno portato i rinvii, le menzogne di BigOil-Gas-Coal e sodali, e le promesse rimangiate dal 1990 in poi. Ed era troppo tardi per modificarli.

Questo mi sembra il più ripreso dai media anche in Italia:

Solo che per capirlo bisogna leggere una didascalia lunga 1 cartella o almeno il thread di Ed Hawkins, l’ideatore delle strisce verticali a a sinistra…

Colpa della concisione del Sommario della sintesi delle sintesi o evitamento deliberato, mancano cose importanti sugli interventi per il clima che contrastano con gli Scopi dello sviluppo sostenibile, un po’ come la “manipolazione dei fondali marini”.

A cominciare dagli aerosol, gli inquinanti con i quali abbia stretto “un patto faustiano”, diceva Jim Hansen. Certo, mascherano una parte del riscaldamento globale, ma rendono l’aria tossica e fanno milioni di vittime/anno. Perché non dire che è urgente abbatterli?

E proprio l’altro ieri è uscito un paper sul recente aumento delle emissioni di metano nelle zone umide. Paludi, mangrovie, lagune sono ecosistemi importanti per tamponare alluvioni e maree estreme, trattenere sedimenti… Dal punto di vista del riscaldamento sarebbero da prosciugare subito. Meglio far finta di niente dopo quel che s’è per ripristinarli? (Paper su Nat. Climate Change, recensione da Carbon Brief.

Qualcuno noterà una certa insistenza sulla necessità di investire in tecnologie per la cattura del carbonio dell’atmosfera come fanno l’Arabia saudita e gli Emirati, sebbene siano tecnologie energivore e dall’efficacia ancora da dimostrare.

E’ perché la voce di corridoio era corretta.

I giornalisti dell’Earth Negociations Bulletin-IISD, i soli accreditati alle sessioni in cui si approva il testo parola per parola (ma non nei gruppetti che in separata sede cercano un sinonimo inoffensivo) l’hanno pubblicata ieri. Per facilitare il confronto tra il prima il dopo, Arjit Niranjan ha evidenziato alcuni risultati su Twitter. Un esempio:

Sigh, on n’est pas sorti de l’auberge…

p.s. Mentre scrivevo, è uscito il Longer Report: 85 pagine.

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