Sono parecchi articoli, nessuno su una rivista scientifica e tutti gratis, che fanno riflettere, trovo. Il primo è quello di Valigia blu sullo sproloquio di Beppe Grillo. Se conoscete Giulia Blasi, per favore le fate i complimenti da parte mia? E’ difficile mantenere la giusta distanza e un tono così pacato.
Da oca avevo parlato del dibattito sul momento magnetico del muone, Carlo Rovelli ne parla da competente sul Guardian, nel contesto di altri annunci clamorosi e poi smentiti. Peccato che l’articolo non sia uscito anche sul Corriere, ma Google Translate mi sembra abbastanza affidabile.

Stefano Caserini fa parte dei lettori voraci. Da Climalteranti, con il contributo di Gabriele Messori, pubblica una bella recensione di “Scegliere il futuro”, il libro di Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac – ottimisti ostinati malgrado tutto – appena pubblicato da Tlon edizioni.
Da Pikaia, Mauro Mandrioli recensisce “Perché fidarsi della scienza” di Noami Oreskes (Bollati Boringhieri), un’altra autrice che piace molto a noi di Climalteranti.
Stefano ci raccomanda un saggio, più che un articolo, di Noah Smith, un giornalista spiritoso anche nelle analisi che scrive per Bloomberg, “Why has climate economics failed us?” Sottotitolo:
- Gli economisti avrebbero potuto aiutare nella lotta contro i cambiamenti climatici. Finora non lo hanno fatto.
E’ una critica ben argomentata e con tanti esempi dei modelli, del “feticcio della carbon tax”, dell’old boys’ network, dei paper clamorosamente sbagliati i cui autori rifiutano di ammetterlo e magari accusano i gremlin di aver inserito errori, come Richard Tol.
Smith si dispiace per l’assenza di idee nuove. Ce ne sono tante, gli dicono nei commenti. In un poscritto, riconosce che c’è una nuova generazione di economisti climatici che meritano attenzione e visibilità, ma non si fanno strada nelle grandi riviste di economia, men che meno come consulenti di governi (o come esperti di Bloomberg Finance, aggiungo io). Ci metteranno decenni, scrive.
Se i media continueranno a ignorarli, è probabile, ma nelle Ong della Climate Justice si discute parecchio delle loro idee.
Se non sapete chi sono, è normale, non lo sapeva nemmeno Noah Smith. Se volete capire come la pensano, potete cominciare da Julia Steinberger e seguirla su Twitter dove segnala le pubblicazioni dei colleghi.
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Dopo un interrogatorio sull’effetto del vaccino AstraZeneca, un’amica mi chiede perché non ho detto niente degli embrioni “chimera” – creati a centinaia iniettando cellule staminali totipotenti umane in blastocisti di macachi.
Mi è parsa una ricerca fallita, le cellule erano un po’ chimeriche e un po’ no, molte erano difettose, gli embrioni morivano prima di 18 giorni. Poi una ricerca così è autorizzata solo in Cina e l’ha coordinata il poco raccomandabile Juan Carlos Izpisua Belmonte…
Uscita su Cell accompagnata da un com. stampa trionfalista, è stata ripresa dai quotidiani anche in Italia. L’Economist le ha dedicato un articolo dal finale troppo credulone, secondo me. Se lo scopo di Izpisua Belmonte fosse davvero quello di produrre organi per trapianti, e salvare la vita di milioni di persone come dice lui, “umanizzerebbe” embrioni di maiali. Gli organi del macaco sono troppo piccoli.
Ero prevenuta, sembravano i soliti embrioni made in China perché là i comitati etici approvano qualunque cosa.
Oggi Leonid Schneider dimostra che sbagliavo di grosso: Izpisua Belmonte ci lavorava da anni in USA, con fondi di una famiglia spagnola promossa in massa a co-autrice, aveva tentato di creare chimere topi-ratti e macachi-maiali, sulle staminali ci avrebbero allungato la vita di 30-50 anni. Tutto brevettato eppure esente da conflitto d’interesse nelle riviste in cui è obbligatorio citare i brevetti ottenuti o richiesti. Nella sua inchiesta Leonid ha scoperto molto altro.
Fidarsi della scienza?