All’assemblea generale dell’Onu l’altro ieri, il leader supremo ha promesso che la Cina “non costruirà più centrali a carbone all’estero”. Mi sembrava un’ottima notizia. Su The Conversation avevo letto “China finances most coal plants built today” di Jeff Nesbit, e l’avevo pure citato.

Su Science, Dennis Normile scrive invece:
- Dei 52 progetti di centrali a carbone legati alla Belt and Road Initiative (BRI)… 33 sono stati archiviati o cancellati, sette sono in costruzione, 11 restano programmate, e soltanto una è entrata in funzione, stando a un rapporto di Nedopil uscito in giugno.
Per dirla con il Gentile dott. Mariutti, Xi Jinping progetta “il genocidio dei poveri”. Per fortuna,
- uno studio di Kevin Gallagher e Xinyue Ma, entrambi del Global Development Policy Center all’università di Boston, ha mostrato che l’87% dell’investimento globale in centrali a carbone oltremare proviene da istituti finanziari giapponesi e occidentali.
Non proprio.
Nella tabella 1 si vede che tra il 2013 e il 2018, Cina, Giappone e Corea del Sud hanno finanziato rispettivamente centrali da 15.953, 15.379 e 5.001 megawatt. I finanziamenti occidentali sono quelli dell’Italia (770 mw), della Germania (660) e della Russia (125), decisamente più modesti.
Se si sommano i fondi di banche e imprese controllate dallo stato, la percentuale della Cina sale al 62-70% (dipende dalla definizione di “controllo”).

“La stagione dei palloni gonfiati”, cont.
Un anno fa, Xi Jinping aveva annunciato all’assemblea dell’Onu che le emissioni di CO2 della Cina sarebbero calate a partire del 2030. Era sembrata un’ottima notizia. Ma per stimolare la ripresa economica, le province cinesi avevano già commissionato nuove centrali a carbone per un totale di 38,4 gigawatt, stando al Global Energy Monitor.
E la loro costruzione è una delle attività che non si sono fermate durante i lockdown.
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Dennis Normile dà un’altra brutta notizia. Due ricerche, uscite una in aprile e una adesso, mostrano che in Ruanda e in Uganda, il plasmodio della malaria ha evoluto una resistenza sia alle terapie combinate con l’artemisinina (ACT, la cura orale “standard”) che ai derivati dall’artemisinina somministrati per endovenosa.
In Ruanda e in Uganda esiste una “sorveglianza genomica”, ma è probabile che il plasmodio sia mutato in tutta l’Africa subsahariana.
O’s digest di Nature
- David Adam, Stime discordanti sull’aumento della popolazione mondiale da qui al 2050 e al 2100;
- Catherine Coleman Flowers, L’uragano Ida dimostra il doppio impatto della povertà e del cambiamento climatico – come Maria a Puerto Rico et al.;
- “Doppio impatto degli eventi estremi in Cina” – non in open access – presenta il paper di Zhen Liao et al. sulle Geophys. Res. Lett. Stimano che le ricorrenze entro la stessa settimana di alluvioni “moderate” e picchi di caldo estremo sono già aumentate rispetto agli ultimi 2000 anni.
E un paper che evoca le Avventure del capitano Cook, Thor Heyerdahl sul Kon-Tiki, Stevenson, Gauguin… Fa sognare anche se, introduzione e discussione a parte, è scritto in alleli e in matematica.
Purtroppo non è in open access e nemmeno la presentazione…
Alexander G. Ioannidis et al. hanno isolato e paragonato le differenze nei genomi dei polinesiani attuali, correggendo la data dell’arrivo dei loro antenati nelle varie isole così come l’avevano stabilita i linguisti, e gli archeologi sulla base di statue, imbarcazioni e altri manufatti.
Sono partiti dalle isole Samoa nel IX secolo per stabilirsi a Rarotonga, la più grande delle isole Cook. Da qui, degli emigrati – “padri fondatori”, geneticamente parlando – sono andati su isolotti e isole, ultima delle quali Rapa Nui (isola di Pasqua) nel 1210.
Commento di Andrew Curry su Science se non avete superato i cinque articoli gratis al mese. Altrimenti, thread di Alex Ioannidis con foto in situ e di Andres Moreno-Estrada senza.